Le libertà in pericolo nel 2017 tra terrorismo, crisi economica e assoggettamento dei media

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L’anno orribile sta lasciando il posto a “quello che verrà”. Ma la sua eredità pesa come un fardello sulle spalle degli umili, delle famiglie piccolo-medio borghesi e di quanti, che lavorino o che sperino di lavorare, rischiano di finire sotto la soglia di povertà. Milioni e milioni di persone, secondo le ultime statistiche, ai quali vanno assommati i milioni di giovani senza futuro né speranze, senza un lavoro dignitoso o che lavorano in nero o che non lo cercano neppure più, che studiano sodo, pesando sulle loro famiglie, senza comunque una prospettiva concreta.

L’anno bisestile insanguinato in Europa iniziò a marzo con l’attentato all’aeroporto di Bruxelles, per poi dipanarsi con la “mattanza” di Nizza, il 14 luglio, e finire con la strage al mercatino di Natale di Berlino. Nei dodici mesi il fondamentalismo islamico ha colpito un po’ dovunque, non solo nel Vecchio Continente, ma anche nel resto del mondo, con un certo accanimento nella Turchia di Erdogan, tanto da spingere il “califfo” di Istanbul a creare la prima “dittatura democratica”, un regime dispotico e liberticida.

Il terrorismo di matrice islamista ha creato una sorta di nube di paura e di allarme contro i rifugiati, gli immigrati che sbarcano in Italia, in Grecia, in Turchia, spingendo forze politiche di destra e governi conservatori a imbracciare le armi della xenofobia, dell’identitarismo religioso e culturale, dell’islamofobia. Sui media tradizionali, stampa e TV, e quelli via WEB, sui Social Net, si assommano e si mescolano opinioni e giudizi sommari sui mali millenari dell’Islam, sulla sua “dottrina di morte”, senza distinzione tra popoli mediorientali, nordafricani, dell’oriente estremo, e tra laici, moderati ed estremisti. Oggi il diverso, spinto dal processo inarrestabile della globalizzazione e della libertà di movimento, è identificato nell’islamico. Che poi sia uno scampato alla morte e alle torture dei macellai dell’ISIS o dei regimi autocratici dei paesi arabi, poco importa. L’importante è identificare il colpevole nel portatore di una cultura e di una religione diversa da quella occidentale, cristiana e liberale.

Questa confusione di analisi, a volte anche strumentale, offusca le menti di quanti stanno soffrendo da quasi dieci anni la più grave crisi sistemica delle società capitalistiche avanzate, dominate da un’unica ideologia: il neo-liberismo. C’è un vasto dibattito tra i favorevoli al “multiculturalismo, all’integrazione e all’accoglienza” e i contrari, entrambi accecati dai retaggi ideologici del Novecento: da una parte, il “gauchismo terzomondista”, filopalestinese e pro-arabo tout court, di quanti si fanno unici portatori dello “spirito di fratellanza universale” cattolico, di coloro che si sentono ancora responsabili di un passato colonialista brutale, morto e sepolto quasi 60 anni fa; dall’altra, gli allarmisti per la “distruzione dei valori occidentali” proveniente dall’Oriente indistinto, allergici all’osmosi culturale e sociale della globalizzazione, nostalgici di una cortina spinata tra Occidente “civile” e il Resto del mondo “barbaro ed iconoclasta”.

E’, comunque lo si voglia definire, uno scontro tra civiltà, scambiato spesso strumentalmente per “guerra di religione”. Una sorta di guerra strisciante tra modelli di vita sociale, economica, culturale e politica, che si vuole ridurre sui media ormai non più autonomi a contrasto armato tra società cristiana e liberale contro società araba e musulmana.

Su questa divisione, che percorre trasversalmente tutte le classi sociali e anche gli strati generazionali, prosperano gli affaristi che stanno dietro alla “terza guerra mondiale a pezzi” (per dirla con le parole di Papa Francesco). Quelli che un tempo avremmo definito i “padroni del Grande gioco”, i salotti dei poteri forti, quell’un per cento della popolazione mondiale che non conosce mai crisi, ma che anzi si arricchisce proprio in questi momenti, “i signori della guerra e mercanti di armi”, coloro che controllano le fonti energetiche dal petrolio, al gas, ai metalli rari e pesanti. Legati a loro c’è il mondo dei media e dell’intrattenimento in senso più generale (film, fiction, giochi elettronici, grandi eventi sportivi), in grado di orientare, manipolare, determinare le opinioni pubbliche specie durante le elezioni o i referendum. Non esiste più una divisione in questo mondo neo-liberista tra società finanziarie, bancarie, produttive di beni materiali pesanti, di servizi immateriali, “virtuali e immaginifici”. Anche in questi settori siamo ben oltre il Novecento, gettati nostro malgrado verso una “Terra di mezzo” inesplorata, dove predominano l’anarchismo della Rete e l’ultravelocità delle Transazioni finanziarie, dove gli affari di qualunque tipo prevalgono sull’etica, l solidarismo, l’equità, ilbene comune ultimo dell’umanità.

Più si accentuano i contrasti armati in alcune zone calde e storicamente instabili (Africa, Medio ed Estremo Oriente), più si intensificano gli episodi di terrorismo e più il mercato borsistico aumenta i propri guadagni: il prezzo del petrolio, del gas e delle materie prime, come i metalli pregiati e rari raggiungono picchi impensabili.

Ma dietro a questo scenario non esistono burattinai, i “grandi vecchi” né una centrale unica del terrore, come la Spectre, o i padroni del male!

Operano in autonomia tra loro, anche se convergenti negli obiettivi finali, ambienti che vivono in varie parti del pianeta, da Ovest ad Est, da Nord a Sud, certo in sintonia tra loro per comunanza ideologica (il neo-liberismo o il capitalismo di stato), religiosa o semplicemente per scelte politiche identitarie (conservatori, regimi dittatoriali, autarchici o ex-comunisti).

Il loro collante, rispetto alla “religione, oppio dei popoli” di marxiana memoria, è oggi la manipolazione dell’opinione pubblica. Due gli episodi da manuale, che andrebbero analizzati a fondo; due tappe politiche che hanno coinvolto le più antiche e strutturate democrazie dell’Occidente: il referendum sulla Brexit in Gran Bretagna e l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti, l’istrionico Trump.

In entrambi i casi gli establishment e gran parte della popolazione, secondo i sondaggi e gli analisti “progressisti”, sarebbero stati favorevoli al mantenimento di Londra nell’Unione Europea e alla vittoria della democratica Clinton a Washington. Ma non avevano fatto i conti con la potenza persuasiva di alcuni mezzi di comunicazione in mano ai “falchi” dell’establishment, del potere finanziario e di quel coacervo che un tempo venne definito dal presidente americano Eisenhower, “il complesso militare-industriale”.

La libertà dell’informazione, il pluralismo delle posizioni e della diffusione della cultura sono ormai compromessi dal processo di monopolizzazione del sistema, della concentrazione in poche mani miliardarie e in alcuni fondi d’investimento, che riescono anche a “giocare su più tavoli”, prediligendo comunque quello più populista e demagogico. Così, le popolazioni impoverite alla crisi economica, impaurite dalla violenza terroristica e in cerca di una “verità messianica”, che le rassicuri o che comunque le faccia uscire dal tunnel, alla fine scelgono una soluzione irrazionale o il candidato più furbo e reazionario.

Oggi non è solo in ballo la crisi della sinistra democratica e riformista a livello mondiale, ormai balbettante perché appunto legata a concetti e sistemi di organizzazione ereditati dal Novecento. Ci troviamo di fronte, purtroppo, al rischio di scomparsa dei fondamenti della società liberale, inclusiva, equa, orientata al progresso e al benessere delle future generazioni. Da qui discende un corollario, che probabilmente farà storcere il naso ai commentatori legati alle vecchie categorie dello spirito: ridisegnare un terreno di confronto e dialogo tra gli interessi e le pulsioni che ancora vengono definite di sinistra e quelle di destra.

Viviamo un’emergenza epocale nella quale queste categorie ideologiche vanno messe da parte.

Perché contro un potere forte e diffuso che non si differenzia tra gli attuali partiti conservatori e democratico-moderati, ma che tende a mantenere e ad allargare la sfera di influenza autoritaria, solo una coalizione di uomini e donne liberi, capaci di leggere nei segnali che provengono dagli strati più disagiati e creativi intellettualmente le soluzioni da adottare, potrà squarciare le tenebre della paura, del terrorismo internazionale e di questa crisi economico-sociale permanente.


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