Pizzarotti esce dal M5S. E’ più utile esercitare il conflitto all’interno o all’esterno?

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Pizzarotti esce dal Movimento. E si ripropone il tema se il conflitto sia più utile esercitarlo all’interno o all’esterno del partito. Sì, perché lo stesso problema lo hanno anche i Bersani, Cuperlo, Speranza ed altri nel PD, che cenano in cucina, mentre i renziani discutono in salotto. Insomma, qual è il limite di sopportazione politica che giustifica la dissidenza interna, oltre il quale si deve andar via?

Pizzarotti lo identifica con l’indice di isolamento. Quando non ti si fila più nessuno, neanche se sei stato prosciolto, neanche se governi bene, allora arrivederci e grazie.
La minoranza dl PD, invece, resiste. Ma non si capisce con quali intenzioni.Fare la spina nel fianco per attenuare il renzismo? Andare in letargo politico fino alla primavera post-renziana, per poi alzarsi, stirarsi e riprendere il partito?
Certo, uscire è duro. Ne sanno qualcosa Civati, Fassina, D’Attore ed altri, che hanno rinunciato ad alloggiare nella grande casa del partito, stanchi di stare in cucina. Ma se esci, poi conti o sparisci? Dipende. Se critichi e basta quelli che hai lasciato, fai poca strada. Se costruisci su valori veri della sinistra – ormai non rappresentati da nessuno – ti ci vorrà del tempo, ma i frutti si vedranno.  Un filoso, inventore e tormentato sperimentatore americano, Richard Buckminister Fuller diceva  “non cambierai mai la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo, che renda la realtà obsoleta”.

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