La Liberazione prigioniera del filo spinato

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Come si fa a celebrare la Liberazione circondati dal filo spinato? Come si fa a pronunciare la parola Libertà, a promuoverla, a sostenerla mentre gli eserciti si muovono sui confini e sparano gas lacrimogeno e proiettili di gomma su disperati in fuga da guerra e miseria? È difficile festeggiare la Liberazione se in Austria trionfa l’ultradestra nazionalista che promuove quel filo spinato e nasconde il volto dietro la maschera degli agenti antisommossa che armati di scudo e manganello stanno ripristinando le barriere sul Brennero.
Difficile se in Serbia l’ultradestra diventa il secondo partito con le stesse parole d’ordine anti migranti, che alimentano il razzismo, la violenza, le molotov sui centri di accoglienza.
Difficile se in Bulgaria il governo chiama “supereroe” un nazista che pattuglia i confini con la Turchia a caccia di rifugiati e li arresta illegalmente e li prende a calci.
Difficile se in Turchia l’ennesima giornalista viene arrestata per aver criticato su twitter il presidente Erdogan, quello che chiama “turisti” i rifugiati e non gli riconosce il diritto alla scuola, al lavoro, ad una vita normale mentre pretende sei miliardi di euro dall’Europa per contenere i flussi.
Difficile se in Grecia oltre cinquantamila rifugiati scappati alla guerra, alla violenza integralista, alla miseria sono costretti a nascere e a vivere nel fango di campi improvvisati sui confini di terra e di mare in attesa di essere deportati, rimandati indietro da dove sono venuti.
Difficile celebrare e dire mai più se per “contenere i flussi” il nostro paese sceglie di stringere accordi con paesi governati da dittatori sanguinari come l’Eritrea di Isaias Afewerki da cui scappano cinquemila ragazzi ogni mese per sottrarsi alla schiavitù del servizio militare, come il Sudan di Omar Al Bashir su cui pende un mandato di cattura internazionale per genocidio e crimini di guerra, o l’Egitto del generale Al Sisi che ancora non fornisce risposte sulla morte di Giulio Regeni.
Oggi è più difficile del solito. Si fa fatica a celebrare questo 25 aprile, la vittoria su nazifascismo, il sacrificio dei partigiani, la resistenza che ci ha liberati e ha aiutato questo nostro paese a scrivere nel suo dna le parole Libertà e Democrazia.
Si fatica ma si deve. Con forza e determinazione. E grande consapevolezza. Bisogna preservare la memoria e bisogna pronunciare la parola fascismo che ormai non pronuncia più nessuno come fosse solo qualcosa da studiare sui libri. E qualcuno sorride, dice che il saluto romano non è un reato ma solo folklore, che ormai è solo un ricordo del passato. Che non ritornerà mai più.

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