Giornalismo: riflessioni sulla professione “più bella del mondo”

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Mentre Maria Antonietta mangiava brioches a palazzo, il popolino tirava a campare sognando un pezzo di pane, anche raffermo. Un’immagine fantasiosa, vetusta, ma non così tanto se la si confronta alla situazione attuale del mercato giornalistico. Oggi come ieri, da una parte l’ancien régime – in questo caso dell’informazione – e dall’altra il nuovo che avanza. Ma se nella Rivoluzione francese quel ‘nuovo’ ebbe una sua forza, lo stesso non si può dire del popolo di aspiranti cronisti che dovrebbe trasformarsi nella nuova generazione alla guida di giornali, radio e tv.

ETERNI APPRENDISTI. Speranze e sacrifici infiniti, tra titoli di studio, stage, collaborazioni mal pagate, spostamenti in varie città, contratti atipici e, soprattutto, anni che passano. Sono bastati pochi decenni per passare da una professione con diritti garantiti, grazie a contratti prestabiliti, stipendio mensile, contributi, ferie, maternità e tutto quello che un lavoro dovrebbe avere (in un Paese evoluto) a un modello di insicurezza cronica. Nessuna novità, sono discorsi già letti e sviscerati. Così, con le collaborazioni a singhiozzo e trasferimenti di città in città che sembrano più vagabondaggi che spostamenti di lavoro, il ‘fresco’ giornalista arriva ai 30 anni con un’autonomia personale e un livello di realizzazione di poco superiori a quelli che aveva durante la scuola dell’obbligo. “Ogni mese cambi lavoro, non è una cosa fantastica?”, suggerirebbe qualcuno, cavalcando il trend del “posto fisso che non c’è più, evviva!”. Una domanda del genere bisognerebbe rivolgerla ai freelance: le partite Iva, per semplificare. Fanno reportage e scrivono pezzi, firmati magari in importanti testate delle quali però non fanno parte come redattori. La gloria c’è, l’ebrezza del lavoro dinamico pure, ma potrebbe mancare il terzo elemento, quello meno nobile e più concreto che permette di vivere: i soldi. Quel che basta per non chiedere, ancora, aiuto a casa.

LE SCUOLE. Nel corso della mia breve carriera mi sono dato come obiettivo quello di portare avanti questa professione in modo serio. La si fa come si deve, oppure è meglio cambiare settore. Per questo ho partecipato, nel 2014, alle selezioni per l’Ifg di Urbino e ho iniziato lì il mio percorso da praticante. Sulle scuole di giornalismo la categoria è divisa in due. C’è chi non le apprezza, sostenendo che cronista si diventi solo sul campo, e chi vede in esse l’unico modo per accedere correttamente a un settore quasi inaccessibile. La preparazione per arrivare al lavoro è più seria di quanto si pensi. Di fronte all’opinione pubblica, i giornalisti possono sembrare persone a spasso per le città e impegnate a raccontare cose, tra una pausa caffè e l’altra. In certi casi può essere vero, ma la gente comune non sa quante regole, responsabilità e conoscenze un giornalista serio debba avere. E l’abilità del professionista non si improvvisa. Io mi metto nel secondo gruppo, quello che vede gli istituti come grosse opportunità. Senza l’Ifg, non avrei mai potuto fare esperienze, seppure solo di stage, in testate importanti e al fianco di colleghi di rilevanza nazionale. Le condizioni del settore sono ormai chiare e tra capo e stagista (dalla scuola) si crea un legame di solidarietà. Non più i superiori-despoti, ma redazioni che cercano, come possono, di sostenerti e di non farti pesare la condizione di eterno apprendista. Almeno questa è la mia esperienza.

SOSTEGNO. Le nuove ‘leve’ sono in attesa di segnali dalle generazioni precedenti. Alcune aperture già arrivano da quanti sostengono i nuovi giornalisti con borse di studio e altre iniziative. E’ il caso dei familiari di Federico Orlando che hanno messo a concorso una somma di denaro importante a uno studente Ifg, per ricordare la figura del giornalista scomparso nel 2014. Originario del Molise, nato alla fine degli anni ’20, Federico ha lavorato fianco a fianco con un altro nome noto, Indro Montanelli. E’ stato il suo condirettore a Il Giornale e lo ha seguito a La Voce dopo lo strappo con Silvio Berlusconi. Quasi 10 anni dopo ha contribuito a fondare Articolo 21 che pubblica nel nuovo formato che presto diventerà standard: l’online. Credo che quello della famiglia Orlando sia un simbolo di sostegno e solidarietà tra un ‘prima’ e un ‘dopo’, tra quell’ancien régime dei pieni diritti e quel popolino di giornalisti precari. E’ questo che mi ha reso ancora più felice di aver ricevuto la borsa dedicata a Orlando il 17 marzo 2016, a Urbino, in una cerimonia a cui ha partecipato anche l’ex direttore di Repubblica, Ezio Mauro. Molti definiscono il giornalismo come “il mestiere più bello del mondo”. Sicuramente, ma nel mercato resta il nodo del rispetto e della giusta remunerazione per il lavoro svolto. Perché il passo per farlo diventare uno dei peggiori mestieri è breve.


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