Sempre in pista, dal ballo all’atletica leggera: La Barbera verso Rio 2016

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Un incidente gli ha portato via la gamba destra. E lui, ex ballerino professionista, ha indossato le scarpe da corsa ed è diventato un campione di atletica. A 48 anni Roberto La Barbera si prepara per Rio 2016, dove punta al podio. Ora sua vita diventerà un film

 

BOLOGNA – 48 anni, Roberto La Barbera sfida chi dice che dopo i 30 un atleta può appendere le scarpe da corsa al chiodo. Proprio a 30 anni lui ha iniziato e, dopo 18 anni in pista con record e medaglie nel lungo, nei 100, 200 metri e nel pentathlon ottenuti alle Paralimpiadi, in campionati europei e mondiali, ha ancora voglia di togliersi qualche soddisfazione. Testimonial di Fiat e Adidas e dipendente della banca Cedacri (che è il suo principale sponsor), l’atleta paralimpico si sta preparando per Rio 2016: «Punto al podio», dice in un’intervista pubblicata dal mensile SuperAbile Inail.

Nato ad Alessandria, ha sempre praticato atletica a scuola, «ma con poco impegno, giusto per saltare le lezioni del sabato quando c’erano le gare», ammette. E poi la sua passione era il ballo. Ma il primo giugno 1985 la sua vita è cambiata in modo drastico: un incidente in moto gli ha portato via la gamba destra, amputata sotto al ginocchio. «Ero un ballerino professionista e ritrovarsi senza un piede è stato un limite pesante e poi, in quegli anni, la disabilità non era così visibile, i disabili non andavano in tv o alle Olimpiadi». Una protesi iniziale nel 1986 in un’officina di Bologna, poi al Centro protesi Inail di Budrio. «La prima era orribile: quattro pezzi di ferro attaccati a un legno, che di buono aveva solo che nascondeva il moncone – racconta –. A Budrio, invece, ho ricominciato a camminare». E a ricostruirsi una vita: dopo qualche tempo ha conosciuto Margherita – che sarebbe diventata sua moglie, e con cui ha avuto tre figli – e si è riavvicinato alle piste da ballo: «Abbiamo aperto una scuola, dove ho insegnato per quattro anni», dice. Nel 1996 la folgorazione: vede in tv Tony Volpentest, atleta nato senza mani e piedi, vincere alle Paralimpiadi di Atlanta la finale dei 100 metri in 11 secondi e 36.

È stato allora che ha capito di poter correre di nuovo?
Prima dell’incidente gareggiavo ma non mi allenavo perché non ne avevo voglia. Dopo sognavo continuamente di correre i 100 metri e vincere, poi mi svegliavo e mi rendevo conto che non avrei potuto farlo. Non avrei mai immaginato che qualcuno potesse fare ciò che stava facendo Volpentest, sono rimasto folgorato.

Aveva 30 anni, età spartiacque per chi fa atletica.
Ero arrabbiato per aver perso troppi anni. Allora ho chiesto all’ingegner Gennaro Verni di Budrio di farmi una protesi per allenarmi. E ho iniziato a correre tutti i giorni con Antonio Iacocca, campione piemontese di decathlon che vive ad Asti. Ma i problemi erano tanti: ogni volta che toglievo la protesi, sanguinavo. Io e Antonio ci siamo chiesti spesso se era il caso di continuare. Ma l’abbiamo fatto ed è andata bene. Nel 1998 l’Inail ha realizzato per me una protesi da corsa e nella prima gara, nel 1999 a Milano, ho strappato i record dei 100 e 200 metri al campione in carica, Alessandro Curis. Da allora è stata un’escalation che dura ancora oggi e che mi porterà il prossimo anno alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro, in Brasile.

Storia di un ragazzo in gamba è il libro che racconta la sua vita. Com’è riuscito a capire che poteva ancora avere un’esistenza normale?
Da ragazzo ero uno scalmanato e l’incidente non l’ho vissuto come un castigo, ma come un freno. Ho rischiato tante volte la vita e quell’incidente è stata una mezza salvezza. Sono molto religioso e propenso a trovare sempre una risposta positiva a quello che mi succede. E poi avevo solo 18 anni ed essere riuscito a ripartire da zero per me è un vanto. La mia famiglia e lo sport mi hanno aiutato a non avere problemi, a sentirmi normale al 100%.

Il volume diventerà un film: lei quale ruolo avrà?
Il progetto è a buon punto. Ci sono due registi, la sceneggiatura di Rolando Repossi e un attore/modello amputato come me che potrebbe interpretarmi, anche se non credo sarà in grado di eguagliarmi in gara e quindi io potrei fare la controfigura di me stesso.

La sua disabilità l’ha portata a fare cose che altrimenti non avrebbe fatto?
È una domanda a cui non so rispondere. Sicuramente mi piaceva di più ballare che correre. Chi mi vedeva in gara diceva che era un peccato che non sfruttassi le mie doti. Se avessi avuto la costanza di stare in pista quattro ore al giorno come faccio oggi, magari avrei ottenuto qualche successo anche in passato.

Ecco la biografia: dalle pagine al grande schermo. Quando ha raccontato la sua storia gli ha dato l’appellativo del «Rocky Balboa dell’atletica» perché, come il personaggio interpretato da Sylvester Stallone, è caduto ma ha saputo rialzarsi. Per Rolando Repossi, giornalista e autore di Storia di un ragazzo in gamba (Edizioni dell’Orso), negli Stati Uniti Roberto La Barbera sarebbe definito «from zero to hero« (da zero a eroe), un po’ come Rocky. Dopo essere stato tradotto in inglese e uscito negli States (nei primi dieci titoli dopo Open di André Agassi), il volume biografico arriverà in Cina a novembre e presto diventerà un film. «L’idea è arrivata da Alex Minsky, ex marine e ora modello e attore (nella serie Hunger games), che ha perso la gamba destra in un’esplosione e che, dopo aver letto il libro, ha pensato che sarebbe stato perfetto per un film – racconta Repossi –. Abbiamo coinvolto due registi: Valerio Zanoli, specializzato in storie a sfondo sociale, con cui ho scritto la sceneggiatura, e Franco Diaferia. Ora speriamo di poter iniziare le riprese». Info: Robertolabarbera.com. (Laura Pasotti)

Da redattoresociale


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