Il M5S tra protesta e proposta. Lettera aperta di un uomo di sinistra

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Caro M5S,

è stato davvero gradevole seguirti in questa due giorni all’autodromo di Imola. C’era la rabbia e c’era la speranza, c’era la piazza e c’erano, finalmente, i primi embrioni di una sana cultura di governo, c’era la disillusione e c’era la voglia di fare, c’era lo sconforto e c’era una profonda e salutare volontà di reagire; e, soprattutto, c’era la mia generazione, una marea di ragazzi di vent’anni cui, purtroppo, i partiti tradizionali non sono più in grado da tempo di rivolgersi né di fornire la benché minima risposta. C’era un grande desiderio di futuro e si avvertiva solo a guardarvi, in quel catino di sogni e di attese, di riflessioni, di allegria e di buona musica che ha indotto molti di noi a riflettere su come stia cambiando la politica e su quali siano le forme migliori di comunicazione per stare al passo con la modernità senza rinunciare al valore imprescindibile del pensiero e della complessità. C’era, inoltre, una visione del mondo: ecologica, ambientalista, rispettosa delle istituzioni e della Costituzione, attenta ai bisogni e alle esigenze degli ultimi, cosciente e sapientemente critica nei confronti della deriva cui abbiamo assistito nell’ultimo trentennio, con il liberismo arrembante, i cedimenti e la mutazione genetica della sinistra (di cui il renzismo altro non è che l’apice) e la progressiva scomparsa dei poveri e degli emarginati dai radar di una classe dirigente inadeguata ed élitaria, arroccata nel proprio fortilizio e insensibile alle voci di un Paese sempre più solo, fragile, stremato.

Sì, mi siete piaciuti e vi ho seguito con gioia, anche quando mi sono trovato al cospetto di interventi che non condividevo o consideravo addirittura profondamente sbagliati, talvolta demagogici, talvolta ancora un po’ inclini a quel populismo di maniera che vi ha caratterizzato nei primi anni della vostra esistenza, inducendo molti di noi a criticarvi, a giudicarvi male e a nutrire sul vostro conto una schiera di pregiudizi in larga parte rivelatisi infondati ma che in una qualche misura dovrebbero, comunque, indurvi a meditare.

Da qualche tempo, come sapete, guardo a voi con il distacco e lo spirito critico di un uomo di sinistra fortemente provato dalle vicende degli ultimi anni, condividendo con migliaia di amici e compagni la delusione e il senso di rammarico e frustrazione per la scomparsa di un mondo, di una comunità e di una nobiltà di valori e di ideali nei quali ci ritrovavamo e dei quali credevamo di poter continuare ad essere portavoce alla guida del Paese, con l’auspicio di renderlo più giusto e migliore ma, più che mai, di liberarlo dalle tossine lasciate in eredità dal ventennio berlusconiano e dalla triste stagione del governo Monti.

Ci illudevamo perché, purtroppo, le cose sono andate diversamente e ormai non ci restano che i ricordi, le macerie e le speranze tradite di un tempo che non tornerà, non può tornare, in quanto il renzismo non è solo una leadership discutibile e di chiara matrice berlusconiana: è una rivoluzione culturale, un cambio di paradigma, una cesura rispetto al passato destinata a segnare, e gli osservatori più malevoli temono a sfregiare, irreparabilmente l’immagine dell’Italia, rendendola una nazione ancora più debole ed egoista, chiusa nel proprio individualismo e nella difesa del “particolare” a scapito della collettività. Il renzismo come modo di essere e come chiave interpretativa della realtà: c’è ben di più di una semplice guida spregiudicata in questo stile di governo che voi per primi avete contrastato e del quale, invece, molta della nostra gente si era inizialmente fidata, confidando che i metodi bruschi fossero propedeutici al conseguimento di un cambiamento in senso progressista della società. È accaduto esattamente l’opposto e i nostri circoli, ormai, sono drammaticamente vuoti, privi di entusiasmo e di energie nuove, con interi territori abbandonati a se stessi e l’ingresso nel partito di soggetti della destra che fu desiderosi unicamente di riciclarsi e di perpetuare il proprio potere sotto altre, accoglienti insegne. Tutto questo non serve al Paese: soddisfa al massimo le ambizioni personali dei medesimi e la sete di vittoria, di gloria e di presenza scenica costante di chi è convinto che l’importante sia sempre e comunque vincere, in qualunque modo, a qualunque prezzo, anche a costo di fare il contrario di ciò che si era promesso, di ciò per cui si era stati votati, di ciò che sarebbe giusto fare in una fase così delicata della nostra storia.

L’avevate capito e denunciato per primi e di questo non solo ve ne do atto e ve ne rendo merito ma vi ringrazio profondamente, considerando la vostra presenza nelle istituzioni utile al fine di smascherare quelle “corrispondenze d’amori sensi” che per vent’anni si erano abilmente dissimulate sotto le bandiere sempre più scolorite di una destra che nulla ha a che vedere con la tradizione liberal-conservatrice delle grandi democrazie europee e di una sinistra che nulla ha più a che spartire né con la sua tradizione novecentesca né con quella splendida stagione riformista che fu l’ulivismo di Prodi, prontamente abbattuto dai nostri rancori, dalle nostre beghe di potere e di palazzo e dalla nostra incapacità di esercitare e mettere a frutto un’intuizione lungimirante che avrebbe potuto cambiare il corso della storia italiana.

È andata così e oggi in questo vuoto, in quest’assenza, in questa disperazione collettiva si è inserito un movimento che è ancora tutto da scoprire, da conoscere, da comprendere ma del quale credo di aver colto le ragioni profonde, prima fra tutte la sacrosanta volontà di riappropriarsi della propria sovranità di cittadini dopo tanti, troppi anni di sudditanza ed espropriazione di quello che è il primo principio indicato dalla nostra Carta costituzionale. Ma c’è di più, c’è molto di più: c’è il desiderio di esprimersi di una generazione nata e cresciuta politicamente nelle piazze della protesta contro i governi Berlusconi, le leggi liberticide contro la RAI e la magistratura, lo stravolgimento della Costituzione e le pessime norme sulla scuola targate Gelmini-Tremonti; c’è la volontà di difendere l’ambiente, il paesaggio e il territorio da soprusi e maltrattamenti; c’è la rivendicazione della buona politica, dell’onestà, della pulizia, della correttezza, della trasparenza e di altri valori universali nei quali sarebbe assurdo non riconoscersi; e c’è, infine, la forza morale di una generazione che lì ha ritrovato un orizzonte per cui impegnarsi, un motivo per credere in se stessa, per dare l’anima per un progetto, per un ideale, per costruire insieme una prospettiva di riscossa, il che costituisce da solo un merito straordinario, visto che moltissimi di quei ragazzi, senza l’esperienza stellina, sarebbero irrimediabilmente persi a qualunque causa di impegno e passione civile.

Pertanto, non ho remore a dire che preferisco di gran lunga che i voti di milioni di miei coetanei vadano a loro piuttosto che rifugiarsi nell’astensione o affidarsi, ancora una volta, a esperienze di governo già ampiamente sperimentate, già ampiamente fallite o, peggio ancora, nel populismo lepenista di chi vorrebbe imprimere una svolta, su temi come il fisco e l’immigrazione, che condurrebbe questo Paese automaticamente fuori dall’Europa.

E poi ci sarebbe la sinistra, la mia casa naturale, il mio mondo, la mia storia, ciò in cui tuttora credo benché faccia, a mia volta, fatica a definirla, a identificarla e a capire di cosa si tratti e quale ruolo possa avere oggi. La mia sinistra che ha dimenticato Pietro Nenni, il quale sosteneva che il compito di un socialista “è portare avanti quelli che sono nati indietro”; la mia sinistra che un tempo era Pertini e Calamandrei, la difesa della Costituzione e il coraggio di don Giuseppe Dossetti; la mia sinistra morotea fondata sull’inclusione e sulla rappresentanza come unica base per poter parlare di governabilità senza sprofondare in derive autoritarie; la mia sinistra ulivista che, in seguito alla drammatica stagione di Tangentopoli, seppe compiere il prodigio di unirsi e trovare una coesione, grazie alla saggezza e alla lungimiranza del professor Andreatta e alla capacità di sintesi di Romano Prodi; la mia sinistra che oggi non c’è più, è frammentata, divisa, spezzettata e priva di uno sguardo d’insieme eppure Dio solo sa quanto avremmo bisogno di quest’utopia che si fa realtà, che rende protagonisti i senza voce, che consente di camminare a testa alta a chi si sente solo e non ha la possibilità di difendersi dalle soverchierie di un certo potere; questa sinistra che non c’è e che continuo a considerare indispensabile, al punto che mi piacerebbe tanto dare una mano a ricostruirla, superando le incomprensioni, le diffidenze e le paure reciproche che ci rendono ridicoli e tragicamente assenti dallo scenario politico nazionale e internazionale.

Già, ma come trasformare quest’utopia in realtà? A mio giudizio, l’unica possibilità – l’ho detto più volte e lo ripeto ancora – è quella di accantonare le velleità di ricostituire partiti novecenteschi, palesemente fuori contesto nella realtà contemporanea, e dar vita a una grande lista civica nazionale da porre senza remore a sostegno di un Movimento 5 Stelle capace di aprirsi e di andare oltre se stesso, condannando non solo la follia dell’uomo solo al comando ma anche l’assurdità, non meno pericolosa, di una sola compagine alla guida del Paese.

Amici stellini, anche se doveste vincere, anche se il vostro sogno di passeggiare sulle rovine fumanti del sistema politico dovesse avverarsi, anche se doveste espugnare Roma, Napoli, Milano, Torino, Bologna, Cagliari e successivamente Palazzo Chigi, anche se arrivaste al 40 per cento, ricordatevi che da solo nessuno ce la può fare. Come recita un proverbio africano: se vuoi correre veloce vai da solo, se vuoi andare lontano devi farlo insieme.

Il vostro problema, infatti, specie in una realtà come quella romana, non dovrebbe essere quello di affermarvi ma quello di riuscire, poi, a trasformare il consenso e la fiducia dei cittadini nei vostri confronti in una reale forza di cambiamento, in una prospettiva diversa, nella riconquista di quei valori di onestà, legalità e trasparenza che sono il vostro marchio di fabbrica ma dovrebbero diventare i punti di riferimento di un’intera comunità. E perché questo accada, a Roma come nel resto della Penisola, occorre che la collettività si prenda per mano, che sindacati, associazioni di categoria, movimenti civici e di quartiere, organizzazioni umanitarie e no profit, mondo della scuola, dell’università, della cultura, della ricerca, dell’impresa e dell’economia si sentano coinvolti, che tutta la variegata composizione della nostra società si stringa intorno a questo progetto, non rinunciando al proprio spirito critico, non appiattendosi su diktat o imposizioni dall’alto ma facendo germogliare una politica vitale e dal basso, una politica che ricalchi, in qualche modo, la maieutica dossettiana delle buone pratiche e delle buone idee che si sviluppano nel grembo della società e giungono all’interno delle istituzioni tramite il rapporto intenso e collaborativo con i propri rappresentanti. Un misto di democrazia diretta e democrazia rappresentativa, dunque, di impegno dentro e fuori dai palazzi, con l’orecchio sempre fisso a terra, sempre pronto all’ascolto dei malesseri e delle esigenze dei cittadini e lo sguardo rivolto verso l’orizzonte, affinché nessuna politica si esaurisca nel breve tempo ma ogni singola visione sia un seme pronto a sbocciare quando magari nessuno di noi sarà più protagonista di un impegno attivo e partecipe.

Perché tutto questo accada, però, dovete compiere progressivamente un salto di qualità, aprirvi, spalancarvi: come vi siete resi conto che senza andare in televisione non riuscivate a raggiungere quegli angoli d’Italia in cui non esiste la banda larga e quelle fasce sociali e anagrafiche che non usano la rete, così dovreste capire che senza la disponibilità a compiere un percorso comune, senza rivedere un po’ i sacri dogmi sulla permanenza nelle istituzioni e senza far emergere compiutamente tutto l’oro che avete dentro, sotto forma di una classe dirigente ormai pronta e matura per assumersi importanti responsabilità di governo, senza compiere questo processo di crescita, tutto ciò che di buono incarnate rischia di trasformarsi in una straordinaria energia inespressa, inesorabilmente destinata a trasformarsi in un nuovo fiume di rabbia e di disaffezione che finirebbe con l’inghiottire voi e l’intero Paese, abbandonandolo nelle mani di chi sulla bassa partecipazione popolare, sul disimpegno collettivo e sulla disattenzione poco informata prospera alla grande. Quel mondo è forte, fortissimo, determinato a resistere e a combattere con il massimo vigore ogni ipotesi di cambiamento non gattopardesco: la freschezza di un gruppo di giovani appassionati e convinti può sfidarlo ma non contrastarlo con la dovuta fermezza, fino a compiere il miracolo di restituire lo scettro della sovranità al popolo. Potrebbe riuscirci solo una comunità in cammino, di cui voi dovreste costituire il propulsore e una sinistra umile e pronta a mettersi davvero al servizio dei ceti sociali più fragili il sostegno e il carico di esperienza e autorevolezza. E non si tratta di chiedere poltrone, questo è proprio ciò che non bisogna fare, ma di costruire insieme un programma di governo radicalmente alternativo al renzismo, al verdinismo e a tutto ciò che essi rappresentano.

Se non dovesse accadere, se anche questo generoso tentativo dovesse fallire, l’Italia sarebbe destinata a trasformarsi, in pochi anni, in una gigantesca casa di riposo a forma di stivale. E noi non avremmo più alcun diritto di guardare negli occhi le future generazioni, in quanto saremmo i loro carnefici.


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