Le Seychelles e la mafia italiana

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Quasi vent’anni fa, e per la precisione nel 1995, il governo delle isole Seychelles emanò una legge che si intitolava EDA, Economic Development Act, che voleva attrarre investitori e  capitali  dall’estero. Ma qualche spirito allegro del governo degli Stati Uniti, a Washington la definì spiritosamente Welcome Criminals Act, benvenuti criminali sul nostro territorio, quando si accorse che la legge prevedeva una garanzia di immunità personale e dei propri beni da tutti i procedimenti giudiziari, comprese le richieste di estradizione per qualsiasi soggetto straniero che avesse depositato alle Seychelles, in schemi approvati, più di dieci milioni di dollari.

Ci fu una tale levata di studi da organismi degli Stati Uniti e dell’Europa come il Fincen e il Gafi/Fatf che gli isolani decisero di non parlarne più. Ma ora se ne parla di nuovo perché la dottoressa Felia Allum del l’Università di Bath, specialista in storia e politica italiana, critica l’indifferenza del governo  per i crimini commessi all’estero quando i proventi di quei reati vengono riciclati e investiti nei suoi confini in attività lecite. Nel suo articolo la Allum fa una distinzione tra i mafiosi che negli anni Novanta si erano trasferiti all’estero per sfuggire all’arresto in Italia e quelli che oggi, pur non essendo fisicamente all’estero, sono- almeno come presunzione attendibile- attivi sul fronte dello sposta mento dei capitali e del riciclaggio.

Tra i primi l’articolo cita le pagine de Il Fatto quotidiano  dedicate al caso svizzero di Fraunfeld, dove la criminalità calabrese si era insediata da oltre quarant’anni, mettendo radici nella comunità locale con elementi integrati nel tessuto sociale, eppure ancora strettamente legati alle associazioni originali di appartenenza.  Un’altra citazione merita il caso scozzese di Aberdeen dove un membro della camorra che aveva avviato una fiorente e redditizia attività, era stato arrestato cautelar mente nel 1995 ,prima del processo, su richiesta delle nostre autorità e subito rilasciato perché gli scozzesi non avevano capito le leggi italiane sulle associazioni di tipo mafioso: un soggetto ritenuto socialmente pericoloso in Italia, giunto sul suolo scozzese, non costituiva più una minaccia. Fu poi il giudice Cantone(attualmente presidente dell’Autorità Anticorruzione) ad ottenerne l’estradizione nel 2005 grazie a un mandato di arresto europeo.

E’ ricordato anche il caso di Domenico Rancadore, vissuto in incognito a Londra per vent’anni, la cui condanna del 1999 a sette anni per associazione mafiosa ed estorsioni, dopo ricorsi, errori e contro ricorsi, è stata finalmente concessa dagli inglesi solo due mesi fa. Troppo tardi peraltro perché ormai, per la legge italiana, era maturato il termine della prescrizione della pena-pari al doppio della pena inflitta(14 anni)-e la prima sezione della Corte di Appello di Palermo ha dovuto disporre la scarcerazione di Rancadore il 31 marzo scorso.  La Allum ha criticato anche l’atteggiamento della stampa inglese che ha presentato il caso di Rancadore come una storia esotica, interessante soprattutto dal punto di vista del costume e non dei reati accertati.  Scrive Felia Allum:” le autorità britanniche hanno sempre avuto un atteggiamento un pò ambiguo di fronte ai casi di mafia italiana. ..Noi sappiamo di Domenico Rancadore  soltanto perché era ricercato dalle autorità italiane. Ma se un mafioso può restarsene a Londra per vent’anni, che altro sta succedendo ai nostri radar? Noi non abbiamo un quadro chiaro delle attività mafiose ma, siccome ormai ogni tipo di affare si svolge in ambito internazionale, non si tratta di un’eccezione.

Certo è che non c’è stato fino ad oggi un’indagine sull’attività della mafia italiana nel Regno Unito che sia partito su impulso delle autorità inglesi.” Il problema è che i capitali che entrano nel Regno Unito per le attività dei mafiosi derivano dalla corruzione e dall’evasione fiscale ma anche il traffico degli stupefacenti e la tratta di esseri umani. D’altra parte è noto che Londra  attrae i soldi illecitamente ottenuti grazie alle leggi “note per la mancanza di regole sulla divulgazione dell’identità dei proprietari”.


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