Un filo rosso lega il sindacato dei diritti di Trentin alla coalizione sociale di Landini

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Il modo in cui i media, ma ahimè anche la sinistra dei partiti, hanno commentato la decisione di Landini di fare politica e poi la riunione di sabato con le forze sociali  senza rinunciare al suo ruolo di sindacalista, inducono qualche riflessione su come il significato della parola politica si sia in questi anni ristretto, fino a ridursi al tema della “governabilità”, delle elezioni e dei partiti che si presentano alle elezioni. Vengo, come Landini, da un’altra storia, a cui sono molto affezionato. Quella storia radicata nel sindacato e nel movimento dei lavoratori ben rappresentata dall’incipit dello Statuto della Prima Internazionale, “l’emancipazione del lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi”.

Vittorio Foa: politica non è solo comando, ma anche resistenza al comando

Vittorio Foa, nell’introduzione a quello straordinario libro che è La Gerusalemme Rimandata, dedicato alle lotte operaie inglesi dei primi del Novecento, lo diceva così: “Quegli inglesi mi hanno aiutato a capire meglio quello che nel corso di una lunga vita mi è parsa un distinzione importante, che politica non è solo comando, ma anche resistenza al comando, che politica non è, come in genere si pensa, solo governo della gente, politica è aiutare la gente a governarsi da sé”. Non è archeologia. Questa distinzione che la politica dei partiti e dei media hanno perduto, ce l’hanno ricordata in questi anni tanti movimenti e tante associazioni che hanno provato a coniugare la difesa e l’ampliamento dei propri spazi vitali e della propria dignità di persone con il pensiero di un altro mondo possibile. A partire dal lavoro, dall’ambiente, dalla cultura, dai beni comuni, dalla convivenza civile delle differenze di genere, di religione, di etnia. Facendo politica non dal basso, come di solito si usa dire, ma nella maniera più alta: all’altezza delle persone.

Thatcher. La società non esiste, esistono individui e chi li governa

Tutti questi soggetti hanno provato a ripoliticizzare la società, andando oltre – e contro – una politica che ha accettato nei propri modi di pensare e di comunicare l’individualismo massificato che è stato ed è il corrispettivo antropologico del liberismo economico. “La società non esiste” aveva proclamato la Thatcher, “esistono solo gli individui e il potere che li governa”. L’assenza della società e delle istituzioni che la rappresentano, sembra essere la cifra condivisa dalla maggior parte dei governanti nell’epoca della deregulation neoliberista. Una cifra che ha anche Renzi. Nella sua azione è infatti leggibile un chiaro progetto di ridimensionamento del ruolo del sindacato e del contratto di lavoro, nel pubblico impiego come nel privato, e di riduzione al mercato del privato sociale, trasformando progressivamente i diritti in vouchers.

Il segretario della Fiom, da sindacalista, pone la centralità della questione del lavoro

Landini ha deciso di reagire e di farlo da sindacalista, mettendo il sindacato e la questione del lavoro al centro di una possibile grande coalizione sociale capace di fare politica partendo dai disagi, dai bisogni, dai desideri delle persone, così come si sono espressi nella ricchezza delle realtà associative e dei movimenti sociali del nostro paese. Egli ha così ripreso la migliore tradizione del sindacato che non ha mai delegato ai partiti la politica, ma ha sempre cercato e qualche volta trovato un proprio modo di fare politica partendo dai luoghi di lavoro e dal bisogno di libertà, di autonomia nella regolazione dei propri tempi di lavoro e di vita che le lotte operaie esprimevano.

La polemica nel Pci sulla “divisione dei compiti” fra sindacato e partiti

Viene in mente la dura battaglia politica e culturale ingaggiata da Bruno Trentin, fin dagli anni ’70, quando il partito era il PCI di Longo e Berlinguer, contro la divisione dei compiti – al sindacato le rivendicazioni, ai partiti le riforme – che finivano poi nella subalternità delle lotte sociali alle strategie e alle tattiche della politica dei partiti, incapaci di cogliere la potente spinta alla libertà e all’autodeterminazione, e ad un diverso modello di sviluppo, che in quegli anni le lotte dei lavoratori esprimevano. E la straordinaria relazione di Bruno Trentin alla Conferenza di Chianciano, nei primi anni ’90 in cui Trentin pose alla base del sindacato dei diritti il filo rosso che collegava la ricerca operaia della dignità del lavoro ai nuovi movimenti sociali nati sul terreno delle tematiche ambientali, della cultura, dei diritti civili. E individuava in questa capacità di apertura la stessa possibilità per il sindacato di preservare lo stesso suo ruolo di agente contrattuale, nei grandi cambiamenti che investivano la fabbrica, l’economia, la società.

Un altro mondo è possibile. La sinistra o è sociale o non è

Landini riprende di quella stagione due idee fondamentali. Quella secondo cui il sindacato deve avere una propria idea su “un altro mondo possibile”, e quella che afferma che il sindacato non può considerarsi rappresentante in esclusiva dei nuovi bisogni di libertà che maturano dentro e fuori il mondo del lavoro. Stupisce che ci sia fra quelli impegnati a ragionare, sul piano più propriamente partitico, ad un’altra sinistra possibile, chi guarda con qualche apprensione alla proposta di Landini. Mi pare che Landini abbia chiarito con nettezza la sua volontà di restare e di fare politica nel sindacato. Ma la ricostruzione di una rete sociale, la ripoliticizzazione della società dovrebbe essere vissuta anche da chi pensa ad un nuovo partito, come la precondizione dello stesso. Un nuovo partito esisterà se non avrà la pretesa di essere di nuovo il vertice di una piramide, ma si penserà come il nodo di una rete continuamente alimentata e arricchita dalla ricchezza di idee, di proposte di mobilitazione che nascono dal sociale. Perché la sinistra, come ha detto Landini riecheggiando Pino Ferraris, o è sociale o non è.

Andrea Ranieri

Da jobsnews.it


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