Chi ha ucciso Nicola Calipari?

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di Emanuele Piano e Alessandro Righi

Ci sono alcune domande fondamentali alle quali bisogna dare risposta per capire la serie di fatalità che hanno portato alla morte di Nicola Calipari: perché il Capo del Dipartimento Ricerca all’estero del SISMI, il Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare, non è rimasto a Baghdad la notte della liberazione di Giuliana Sgrena? Perché aveva fretta di rientrare in Italia e chi gli aveva impartito questo ordine?

A queste domande prova a dare una risposta “Diario di una spia a Baghdad”, scritto fra il luglio del 2004 ed il luglio 2005 da un agente del SISMI di stanza in Iraq e che per l’occasione utilizza uno degli pseudonimi impiegati in oltre vent’anni di carriera: Akela. Un racconto quotidiano e assolutamente inedito di come hanno operato i servizi di intelligence italiani nel caos iracheno seguito all’invasione a guida USA del regime di Saddam Hussein nel 2003, fra terroristi suicidi, colpi di mortaio sulla Green Zone ed un precario equilibrio politico fra le diverse entità etniche irachene. In occasione del decennale dalla morte di Nicola Calipari per mano, presunta, del soldato americano Mario Lozano, Invisible Dog, l’editore del libro, ha deciso di mettere online sul sito www.diariodiunaspia.it un’anticipazione del manoscritto che ripercorre il mese, dal 4 febbraio al 4 marzo 2005, del sequestro dell’inviata de Il Manifesto.

Scopriamo così come i militari statunitensi e gli agenti italiani del SISMI in Iraq avessero fin da subito, con un colpo di fortuna, identificato il primo luogo di detenzione di Giuliana Sgrena. Si svela l’esistenza di una “fonte italiana”, ovvero una persona quantomeno vicina al gruppo dei rapitori, che avrebbe cercato di liberare la Sgrena dopo pochi giorni di prigionia, salvo poi sparire al momento della consegna. Ed è in virtù di questa fonte confidenziale che, dopo qualche giorno, viene messo sotto stretta osservazione con i droni Predator in dotazione all’esercito americano il nuovo covo dei terroristi. Dalla cronaca di Akela emerge un binario parallelo ai negoziati portati avanti da Nicola Calipari: quello per la preparazione di un blitz militare per liberare l’ostaggio. Si raccolgono dati, si intercettano le telefonate, si ascolta l’interno dell’edificio e si riesce addirittura ad ottenerne una mappa interna con indicata l’ubicazione della rapita. Tutti dati utili per pianificare un’operazione da appaltare prima all’esercito americano, poi alla Divisione Operazioni dell’ormai defunto SISMI (ora AISE) ed infine alla CIA. Sullo sfondo la presunta luce verde data dalle autorità italiane al blitz che si scontra, negli ultimi giorni del sequestro, con il diniego americano ad intervenire con troppi rischi per l’incolumità della prigioniera e dei militari da impiegare nell’azione.

E’ in un Iraq travolto dalla guerra portata avanti dai terroristi qaedisti e dagli ex baathisti di Saddam Hussein che si svolge la fatidica operazione di rilascio e recupero di Giuliana Sgrena il 4 marzo del 2005. Dell’incidente al checkpoint sulla strada più pericolosa dell’Iraq, la tristemente nota Route Irish che porta all’aeroporto, leggiamo il racconto fatto a caldo dall’autista, quell’Andrea Carpani identificato con il suo nome in codice: Corsaro. La luce accesa in auto, Calipari al telefono con il direttore del SISMI, Nicolò Pollari, una raffica di colpi che piomba sull’auto all’accensione di un faro sul bordo della strada. Muore il salvatore, sopravvive l’ostaggio.

E’ da questo momento in poi che il segreto di stato e gli interessi nazionali prendono il sopravvento sulla ricerca della verità. Perché gli agenti coinvolti non possono parlare, Lozano si rivelerà non processabile in Italia, né altrove. La Sgrena professa la tesi di un agguato, ma forse si tratta semplicemente di una tragica concatenazione di fatalità. Difficile credere che gli americani, che controllavano il covo e stavano lavorando all’ipotesi del blitz, abbiano voluto punire gli italiani per aver pagato un riscatto, che Akela quantifica in 12 milioni di dollari.

Ma è il livello politico, quello che porta Calipari a rischiare la vita quella notte invece di sostare nella zona protetta di Baghdad, la Green Zone, dove gli italiani avevano un comprensorio sicuro a disposizione, che merita attenzione. Perché c’è un volo del CAI, la compagnia aerea dei Servizi, che quella notte doveva portare la Sgrena dall’Iraq a Venezia per partecipare all’indomani alla giornata conclusiva del congresso di Rifondazione Comunista. E poi, sempre il 5 marzo 2005, c’era la serata di chiusura del Festival di Sanremo, dove l’operato del governo avrebbe beneficiato di un ampio bacino di teleutenti. E allora chi ha dato l’ordine di rientrare?

Akela lo sa, ma non lo dice. Il segreto è contenuto nelle trascrizione delle intercettazioni delle comunicazioni degli agenti del SISMI in Iraq consegnate dagli americani ai nostri Servizi e di cui, grazie a questo diario, scopriamo l’esistenza. E’ lì che si cela probabilmente l’ultima verità sulla tragica morte di Nicola Calipari ed il nome di chi la porta sulla coscienza. Sempre che qualcuno, nel frattempo, non le abbia fatte distruggere.


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