L’incoscienza mediatica di chi chiede la guerra. Niente senza l’Onu

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Quando si parla di andare a fare la guerra dovrebbero tremare le gambe e la voce e ad un democratico dovrebbe venire il dubbio se vi sia ancora qualcosa da fare, da provare e da osare… Si parla di guerra, invece, con l’insostenibile leggerezza dell’essere mediatico che crede che il contenuto sia la quantità della sua presenza e non quello che dice. Si parla di guerra come si parlasse di quelle banalità che appassionano pigri politicanti che quando pensano alla diplomazia e alla politica internazionale potrebbero al massimo inserire nel loro curriculum molte notti trascorse a giocare a Risiko.

I giornali stamattina sono pieni di incoscienti in giacca, cravatta e tacchi alti che spiegano che ormai non c’è più niente da fare, che soltanto l’entrata in guerra potrà garantire la nostra sicurezza. Naturalmente a costoro non salta in mente che viviamo in un mondo in cui c’è ancora chi crede alle parole e le prende sul serio, che da tempo vorrebbe trascinarci in guerra, che sta animando nei nostri paesi la raffinata psicosi del nemico interno.

Forse qualcuno non ha ancora capito, o non se ne rende conto, che viviamo in un mondo in cui vignette di cattivo gusto hanno il potere di aizzare piazze e scatenare uomini e donne in cerca di vendetta. Sì, viviamo in un tempo in cui c’è ancora qualcuno che crede alle parole e i politici, abituati a dire tutto e il contrario di tutto nei talk show nostrani, non devono dimenticarlo.

Che la situazione libica possa prevedere alti rischi per il nostro paese è indubbio e i ministri Gentiloni e Pinotti, senza i toni enfatizzati dalla stampa, hanno avvertito dei pericoli che corriamo. Ma la strada da percorrere è ancora lunga e la situazione sul campo lo conferma. Parlare, invece, di entrata in guerra come se la politica e la diplomazia non avessero più nulla da dire e da fare, espone tutti ad altissimi rischi. Non è un caso che in Europa, negli Stati Uniti e da palazzo Chigi arrivino indicazioni per continuare a lavorare “ad una soluzione politica”.

Sul futuro, certo, non si può escludere nulla. Ma niente può avvenire che non sia all’interno di un quadro concordato con le Nazioni Unite. E non solo: i protagonisti, semmai vi fosse la necessità di un intervento, dovranno essere i paesi africani. L’esperienza della guerra a Gheddafi, con Sarkozy interessato a riprendersi un posto al sole a scapito anche degli italiani, dovrebbe aver insegnato che una missione militare può essere utile solo per chi ha l’autorevolezza di lavorare per la stabilità e sicurezza. L’Italia, è il caso di ricordarlo, “ripudia la guerra” e lavora da decenni in tante zone del mondo, anche con le proprie Forze armate, soltanto per favorire la soluzione delle controversie. Perseguire la nostra vocazione, anche nella crisi libica, è scommettere sulla nostra sicurezza.

Fonte: Huffington Post


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