La Francia ha parlato. Caffè 12 gennaio

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Ha ragione Liberation che titola “Siamo un popolo” e pubblica una foto di tanti francesi senza nome che sono scesi in piazza, tanti quanti mai prima, per dire no alla paura e al ricatto del terrore, per difendere la libertà di tutti, anche di Charlie Hebdo, quando pubblicava la vignetta, blasfema, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo intenti in un rapporto sodomita.

Giannelli disegna tre colombe che volano insieme: una rossa, una bianca, una blu, i colori della Francia. “L’abbraccio di Parigi” (ai capi di stato) titola il Corriere. Quella scorta di milioni di cittadini è parsa più forte di qualunque minaccia. “Parigi, capitale della libertà”,la Stampa. “La rivolta di Parigi: libertà”, Repubblica.

Ho scritto tante volte che temevo per la Francia, e dunque per l’Europa. Perché la Quinta Repubblica era ormai in crisi, il Presidente non più al di sopra del giudizio – che può essere molto duro – sul governo di turno, perché l’unità repubblicana (e la conventio ad escludendum) non faceva più da argine al Front National, perché l’idea della grandeur mal si conciliava con un’Europa a trazione tedesca. Ma la storia non è acqua, è memoria, sangue e vita, è un’idea che mette radici nella mente e nel cuore di milioni di donne, di uomini e di adolescenti. La Francia che ha costruito per prima uno stato moderno, la Francia dell’illuminismo e dell’89, la Francia che da due secoli propone un sogno – liberté, égalitée, fraternité –  ancora inattuato. Ieri quella Francia ha saputo regire alla controrivoluzione che vorrebbe spingerci indietro di un millennio. Controrivoluzione auspicata dagli Imam wahabbiti e dai sovrani sauditi, messa in scena dai tagliagole dell’Isis e di Al Qaeda, e favorita, in Occidente, da ideologie senili che vorrebbero rinchiuderci in una fortezza assediata dai giovani e dai poveri del mondo.

“Rivive in piazza lo spirito di un paese”, scrive Massimo Nava. “Il miracolo della Répubblique”, Bernardo Valli. Naturalmente tutto è da fare. Perché è vero che gli attentati a Charlie Hebdò e al supermercato Cacher di Vincennes hanno messo a nudo la fragilità dell’Europa politica. François Hollande, fino a mertedì Presidente modesto e impopolare, ha ritrovato il senso del suo ruolo, ha invitato a Parigi i suoi pari, ha scommesso sulla manifestazione e ha vinto. Ma ora bisogna  seguire. In Francia e in Europa perché niente è più come ieri. Francia, Italia, Spagna, Grecia hanno bisogno d’Europa. E ne ha bisogno la Germania, se non vuole tornare ostaggio dei suoi incubi.

Di un’Europa che vada oltre Obama in politica estera. Che sappia sostenere il dialogo, costruire la pace, rifiutare ogni sorta di veto. Cominciando dal riconoscimento dello Stato della Palestina, dall’appoggio al tentativo di Rouhani di chiudere il contenzioso del nucleare, garantendo a Putin che l’Ucraina non diventerà avamposto armato della Nato ma pretendendo che Mosca smetta la guerra che conduce. Un’Europa che difenda il suo welfare, facendolo diventare europeo ed efficiente. Un’Europa che costruisca libertà e  democrazia. Sfida impossibile se le istituzioni comuni non saranno sovrane e non risponderanno direttamente agli elettori. Sfida insensata, se l’Europa politica non fosse solidale, non rispondesse cioè dei debiti nazionali come delle politiche di riforma.

Lo ha capito questo, Angela Merkel? Draghi sì. Così come lo ha capito Tsipras – bene hanno fatto Civati e Fassina ad andarlo a trovare. Lo ha capito Podemos, cui i sondaggi attribuiscono in Spagna il 28,2% dei consensi. 5 punti in più dei socialisti, 9 più dei Popolari al governo. Forse, ieri, lo ha capito Hollande. E Renzi? Lo sapremo presto. Già in occasione della scelta del successore di Napolitano.

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