Brasile, dacci oggi il nostro massacro quotidiano

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Secondo le statistiche divulgate da blogger e Ong brasiliane, solo nello Stato di Sao Paulo, la polizia militare ha ucciso negli ultimi 18 anni 10.152 persone. Una media-scudetto di 45 morti al mese, in una sola città. A fronte di 5 militari caduti, non solo in servizio, ma anche per via di conflitti privati all’interno delle forze dell’ordine, causati dalla connivenza di alcuni dei suoi membri con le bande criminali. Dal 2008 al 2013, l’incremento degli omicidii extra-giudiziari è stato del 32% circa, cinque volte più di quello degli Stati Uniti.
In questi anni, il numero delle esecuzioni extra-giudiziarie a Sao Paulo ha superato l’intero Stato del Sudafrica, 2176 contro 1623.
Il governatore dello Stato è Geraldo Alckmin, PSDB, i socialdemocratici che, alle recenti elezioni presidenziali, erano quasi riusciti nel colpo grosso, quello di sconfiggere l’attuale presidente Dilma Rousseff, attingendo la maggior parte dei consensi proprio qui, dove si concentra la parte più ricca della popolazione brasileira, la quale delega alle tropas especiales il lavoro sporco.

Codeste si esibiscono in performances continue, come quella di gennaio a Campinas, 99 km. dalla città, dove, in poche ore, hanno fatto fuori 12 persone, durante un raid notturno.
Seconda in graduatoria, non poteva mancare Rio de Janeiro, a livello ammazzamenti di poco inferiore. La cosiddetta “pacificazione” delle favelas di Providéncia e Rocinha, ricettacoli di spaccio della droga, ha mietuto vittime anche tra la gente comune, modello israeliano.

Dopo gli stermini quotidiani operati durante la dittatura da Os Esquadrao da Morte, e un breve periodo di relativa calma, gli eccidi ripresero in pompa magna nel 1993 a Rio, dove, tra luglio e agosto di quell’anno, furono trucidati a sangue freddo in trenta, nove bambini che dormivano sulla scalinata della chiesa di Candelària, e 21 tra adulti e ragazzi, nella favela di Vigàrio Geral. La media annua brasiliana si aggira intorno ai 2000 omicidi polizieschi.
Nel continente americano, sono due le nazioni al vertice di questo triste primato:
Brasile e Giamaica; quest’ultima, con i suoi quasi 300 cittadini uccisi dalla polizia annualmente, lotta strenuamente per il podio più alto: parliamo di 200 milioni di abitanti contro i tre scarsi della piccola isola caraibica.

Atrocità a go-go

Una campionatura succinta, per ragioni di spazio, di alcuni dei crimini polizieschi più efferati, dal 1992 a oggi:
Carandiru: nel carcere di massima sicurezza di San Paolo, per sedare una rivolta che non aveva provocato vittime nel corpo di guardia, la polizia militare irruppe sparando all’impazzata, uccidendo 111 detenuti, alcuni dei quali inseguiti fin dentro le proprie celle, e finiti con un colpo alla nuca.
Nessuno degli autori dell’eccidio ha pagato con una condanna definitiva. Al triste episodio fu dedicato il film omonimo diretto da Héctor Babenco. L’anno successivo le stragi di Candelària e Vigàrio Geral di cui abbiamo già parlato. Dal 2008 a oggi la recrudescenza degli omicidi extra-giudiziari, con particolare riferimento alle favelas di Rio, ha raggiunto il suo apice.

Providéncia: il 14 luglio del 2008, tre giovani, tra i quali un minorenne, furono sequestrati dalla polizia e torturati per dodici ore; venduti poi a una banda di trafficanti, che li finirono. David da Silva, Marcos Campos, e Gonzaga da Costa, estratti a sorte nella roulette delle esecuzioni a scopo intimidatorio, che provocarono, nelle favelas di Providéncia, Rocinha e Baixada Fluminense, oltre 2.000 morti, dal 2007 al 2008.
Human Right Watch, cita, nel suo rapporto del 2009, 11.000 persone assassinate dalle forze dell’ordine, a Sao Paulo e Rio, dal 2003.
1.137 solo a Rio nel 2008. Numeri da cine-brivido.
Marè: il 25 giugno del 2013, 400 agenti del BOPE irruppero dentro la favela di Marè, uccidendo a sangue freddo tredici persone dentro le loro case.
Le manifestazioni di protesta che seguirono, furono sedate con bombe lacrimogene e arresti di massa.
Alemao: nella roccaforte del Comando Vermelho, una delle più spietate tra le gang narcotrafficanti, la polizia si è macchiata quest’anno di due crimini aberranti; a marzo, durante una protesta, ha ucciso Claudia Ferreira, una donna madre di quattro figli, gettando poi il corpo in un fossato.

Il 22 giugno, un ragazzino di 14 anni, Lucas Lima, è stato freddato solo perché intralciava, a dire degli agenti, un inseguimento. Un delitto simile nel modus operandi, a quello di Ferguson, nel Missouri, dove un suo coetaneo, Michael Brown, fu ucciso dalla polizia USA. Mentre i media locali e internazionali hanno condannato apertamente l’episodio americano, in Brasile la morte del ragazzo è passata quasi inosservata. Il problema-chiave in Brasile, è quello della stampa: le testate più importanti, come O Globo, Folha de S.Paulo e Veja, si sono apertamente schierate con Aécio Neves, leader del PSDB  (che scrive come editorialista per Folha) durante le ultime presidenziali. O Globo del gruppo Marinho possiede anche radio e televisione; la sua coerenza conservatrice è tale che nel 1964 sostenne apertamente il golpe militare. Le tv nazionali propongono fino allo sfinimento le operazioni di polizia, con gli arrestati in manette; ma che io sappia, si astengono dal raccontare gli abusi delle autorità.

Le cronache alternative sono affidate al coraggio dei blogger, spesso sottoposti a censure e violenze fino all’eliminazione fisica. Gli assassinii nel 2012 di Décio Sa, blogger del Maranhao e di Randolfo Lopes, direttore del portale di Barra de Piraì, lo testimoniano.

La stampa anti-governativa, di stampo conservatore, è anche un problema in Ecuador; i giornali più letti, El Universo y El Comercio, hanno il dente avvelenato con il Presidente Correa; i fratelli Pérez, proprietari di El Universo, e il direttore Palacio, furono condannati per calunnia nel 2011 (poi graziati) e quest’anno, anche il titolare del blog Plan V Fernando Villavicencio, che accusò Correa di crimini contro l’umanità durante il tentato golpe del 2010, dovrà scontare un anno e mezzo di reclusione e pagare un’enorme risarcimento.
La vendetta è già maturata a febbraio, quando gli editoriali di Torres e Verdesoto, contribuirono alla sconfitta del partito di Correa, Alìanza Pais, nelle amministrative svolte a Quito, la capitale, e Guayaquil, la città più popolata.

Belém: Torniamo al Brasile; a seguito dell’uccisione di un sergente di polizia, si è scatenata a Belém, capitale dello Stato del Parà, la notte tra il 4 e 5 novembre 2014, una rappresaglia stile nazista, conclusa con la mattanza di una trentina di persone, per la maggior parte adolescenti, tra le quali un handicappato.
Le favelas di Terra Firme, Guamà, Jurunas e Sideral, sono rimaste tracciate da una scia di sangue, che riporta alla memoria le esecuzioni a freddo del 2002 in Giamaica, a Braeton Hill, quando in una sola notte le death squads di Reneto Adams finirono con un colpo alla nuca 27 sospetti. E’ doveroso ricordare che la criminalità comune uccide una media di 50.000 persone l’anno, soprattutto tra la comunità afro-brasiliana, la quale incide per il 70% circa; una percentuale simile, si registra riguardo vittime della polizia; su 2000 casi di media annua, circa 1500 sono neri o mulatti.
La popolazione nelle metropoli vive in costante apprensione.
La gente delle favelas è in stato di assedio permanente, tra guerre intestine di bande e presidi polizieschi. E’ tutto da dimostrare però l’effetto deterrente di rappresaglie come quella di Belém, considerando che le statistiche degli omicidi sono in salita costante a Rio e nel Nord Est del Paese.

Sabe de nada

Un modo di dire brasileiro, quando una persona prende una cantonata, recita: Sabe de nada, inocente cioè: “Non hai capito niente, tonto”. E’ mutuato da una canzone di E’ o Tchan, dedicata a un marito cornuto. Nel caso in questione, le corna le indossano gli illusi, convinti che le proteste di giugno 2013 avrebbero portato dei miglioramenti a breve. In realtà il quadro post-elettorale è abbastanza fosco; il Parlamento brasiliano è presidiato da deputati e senatori di stampo conservatore che influenzano pesantemente l’opinione pubblica. Infarcito di pastori evangelisti omofobi e anti-abortisti (in Brasile l’aborto è ancora reato) e ufficiali dell’esercito promotori della pena di morte, oltre che fautori di una repressione costante nelle favelas.

Già Marina Silva, la candidata socialista, si era distinta per la sua fede religiosa fondamentalista; per sorte beffarda, è caduta proprio a causa della sua tradizionale difesa delle minoranze indios, che le ha alienato le simpatie dei benpensanti. Difatti i latifondisti raddoppiano i propri rappresentanti, mentre quelli sindacali si dimezzano. Sebbene Lula, il fondatore del partito di governo, fosse un ex-sindacalista.

In effetti, si respira un perbenismo denso come una nebbia, che giustifica la repressione poliziesca e auspica una società meno garantista riguardo diritti etici. D’altro canto, l’insuccesso riscontrato dall’amministrazione post-Lula, specie nei confronti degli eccessi del liberismo finanziario che ha privatizzato in larga misura sanità e istruzione, acuisce il disagio sociale causato da razzismo e cristallizzazione delle classi. I cosiddetti excluìdos, gli emarginati, specie afro-brasiliani, sono facile preda di quella criminalità che sembra offrir loro l’unica via di riscatto, ai fini di un potere d’acquisto tanto agognato. Un riscatto tinto di vermelho.

Fonte:  http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/11/16/brasile-dacci-oggi-massacro-quotidiano/1214585/


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