Antonio Esposito Ferraioli, vittima innocente della camorra

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di Mariano Di Palma* – È la notte del 30 agosto del 1978. Tonino si avvicina all’auto per tornare a casa, dopo aver incontrato la donna che dopo un mese avrebbe dovuto sposare. La sua Citroèn è ferma all’angolo di via Zito, nel rione “palazzine” di Pagani, un paese in provincia di Salerno. A 27 anni, l’unica preoccupazione è tornare in tempo per non dare troppi pensieri a mammà che aspetta sveglia, come sempre, dietro le persiane di casa. E’ tardi e Tonino prende le chiavi dell’auto, gli cadono in terra, si abbassa e nello stesso tempo cade anche lui: trafitto all’improvviso da un colpo di lupara alla schiena. Una A112 blu scappa a fari spenti nella notte. Il quartiere dorme, mentre Tonino  resta a terra e muore, in una pozza di sangue. Quando arrivano i soccorsi la città si risveglia. Nessuno ha visto niente. Nessuno sa. Solo la sua compagna ha visto: era affacciata alla finestra per seguirlo con lo sguardo dopo il bacio sull’uscio di casa.  Quella notte il silenzio sarà rotto solo dagli spari dei killer e dalle sue urla strazianti. Quel silenzio, dopo durerà ancora  per trentasei anni.

Antonio “Tonino” Esposito Ferraioli. Antonio “Tonino” Esposito Ferraioli è stato riconosciuto vittima innocente della criminalità organizzata. È la verità giuridica che si avvicina alla verità reale, una verità nascosta, taciuta, negata, ma che con la sentenza dello scorso 24 ottobre, emessa dal Tribunale della Repubblica di Nocera Inferiore, apre uno spiraglio sulla possibilità di fare giustizia su quella tremenda notte. La pronuncia arriva dopo il ricorso della famiglia, presentato in seguito al respingimento da parte del Ministero dell’Interno dell’istanza di riconoscimento di Tonino come vittima di camorra. Il rifiuto motivato con la mancanza di un processo: dopo l’assassinio le indagini non portarono infatti a riscontri concreti, con la conseguente impossibilità di incastrare mandanti ed esecutori.  Tonino Esposito Ferraioli è un giovane sindacalista della Cgil negli anni ’70. Lavora come cuoco alla mensa dello stabilimento paganese della Fatme, azienda leader nel settore elettronico e una delle tante fabbriche dell’agro nocerino sarnese negli anni dello sviluppo industriale. Tonino è un iscritto al Partito Comunista ma viene anche dall’esperienza degli scout, in cui è cresciuto da bambino. É un ottimo cuoco. Gira l’Italia in lungo e in largo, nei migliori alberghi e ristoranti. Ma qualcosa lo richiama sempre a Pagani, qualcosa che non può trattenerlo troppo via dal sud: l’amore. Tonino è profondamente innamorato di una giovane paganese e decide di tornare, di accettare un lavoro alla mensa di una fabbrica per costruire il proprio futuro a Pagani. Una scelta coraggiosa, motivata dalla forza dei legami che aveva costruito.
Una vita “normale”. Chi conosce la sua storia sa che non si racconta qualcosa di irreale e né si vuole la rappresentazione eroica di una vittima innocente della camorra. Perché le mafie, ma in particolare la camorra, raccolgono sulla propria strada vittime che hanno fatto della “normalità” la propria storia di vita. Una “normalità” spezzata dalla violenza criminale. E non è un caso se si parla di “normalità”; perché “normale” è l’atto di denuncia che il giovane fa quando riscontra cibi avariati in mensa e da cuoco è preoccupato per la qualità del cibo dei suoi colleghi. Viene ucciso perché “normale”, perché non si piega alla “a-normalità” che la camorra vuole costruire come prassi sui territori campani. La violenza del potere non accetta schiene dritte, non accetta ritorsioni, non accetta “normalità”. Siamo nel 1978 e l’omicidio Ferraioli, come i tanti avvenuti in quegli anni, rappresenta uno schema chiaro e definito, un’anticipazione di quella che sarà la violenza della camorra nel decennio successivo, con la guerra tra clan vecchi e nuovi che ha cosparso di sangue le pendici del Vesuvio. Il valore “simbolico” degli omicidi di camorra di quegli anni è l’esatta rappresentazione della stessa violenza criminale che ha devastato i territori con l’abusivismo post terremoto, le coste, i centri storici; è la stessa violenza che permette di aprire una guerra di migliaia di vittime tra le strade di Napoli e di diverse città della Campania; è la violenza che inscena l’arroganza del potere, la presunzione di poter “comandare” sull’uomo e sulla natura, di decidere della vita in base a logiche basate sull’accumulazione di ricchezza per pochi. La storia di Tonino invece ci parla di un mondo che ha resistito e resiste ancora alla logica dell’affiliazione, che non ha bisogno delle rappresentazioni eroiche, ma dei gesti quotidiani che cercano giustizia contro l’ingiustizia, che mettono al centro la normalità contro l’emergenza. Ancora non si conoscono i mandanti e gli esecutori, o almeno ancora non ci sono le prove per incriminarli. Chi è cresciuto – come chi vi scrive – in questi territori, con l’idea e il coraggio di Tonino ad animare l’impegno di tutti i giorni, non avrà pace finchè non arriveremo ad avere totalmente verità e giustizia.

* Mariano Di Palma, Libera Campania

Da liberainformazione.org


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