No al Pil criminale

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Nel calcolo della ricchezza prodotta da un paese europeo (PIL) entreranno anche le somme generate dal “sommerso” (prodotti legali realizzati con evasione fiscale) e dalle attività illegali, come spaccio di droga e prostituzione.
Benché la novità decisa a livello europeo abbia fatto esultare gli esperti di contabilità di Stato per il lieve miglioramento dei conti pubblici che comporterà, dal punto di vista culturale il messaggio è devastante.

Perché afferma che la quantità di ricchezza viene prima della qualità della vita. Nel concreto, che l’abbrutimento di un eroinomane e i drammi della sua famiglia sono comunque un bene per i bilanci nazionali.
Questa scelta è una sconfitta per la dignità, perché svaluta la legalità.
E ci riporta alla lungimirante esortazione di Pasolini a non confondere lo sviluppo dei beni con il progresso civile di un popolo. Oggi quel pericolo si è avverato. Un PIL  che conteggia l’economia criminale di fatto la tollera, come chi dice che con la mafia bisogna conviverci, non contrastarla. Un Pil che equipara il valore creato con il sudore con quello generato con la violenza avvelena i pozzi dell’economia e della pubblica correttezza.
Chi si batte per la legalità non può accettare questo degrado.
Neanche se ce lo chiede l’Europa.

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