Quei movimenti ecclesiali molto ammanicati, ma allergici ai cani sciolti

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Tira una brutta aria nelle comunità parrocchiali per gli “outsider” che non hanno l’etichetta di un gruppo o di un movimento. Eppure papa Francesco vorrebbe credenti coraggiosi, non paludati intellettuali chiusi nelle aule accademiche o nelle sacrestie

dal blog Social Church Chiesa e periferie esistenziali

L’appartenenza ecclesiale dovrebbe essere anzitutto fede nel Vangelo annunciato e rivelato da Gesù Cristo nella sua incarnazione, passione, morte e risurrezione. Sì, ci sono i carismi, i doni dello Spirito. Che hanno suscitato movimenti e associazioni a cui aderiscono laici, religiosi e religiose, anche sacerdoti e vescovi. Ma il rischio della clericalizzazione è dietro l’angolo, mentre i credenti laici hanno una vocazione specifica ben importante e scolpita: quella di testimoniare la loro fede, con la vita, nel “mondo”. Cioè nelle situazioni in cui si trovano: a casa, al lavoro, per strada, anche sugli autobus affollati e sui treni senza aria condizionata. Oltre che in parrocchia, naturalmente.

Sembra invece che in qualche caso si diventi “visibili” – nei grandi numeri, nell’informazione mainstream e pure sui social network, per cifre di “mi piace” e retweet – per la dichiarata appartenenza a un movimento, a un’associazione nazionale, a un gruppo nutrito e (diciamola tutta, alla romana) “ammanicato” con la gerarchia. Che conosce cioè vescovi e cardinali all’interno della curia romana o perlomeno in qualche diocesi di “spicco”.

Una logica antievangelica e agli antipodi con quanto papa Francesco – il mediatico e amato pontefice argentino – non si stanca di ripetere. Il primato dei poveri, degli ultimi, dei senza voce come le persone disabili e gli anziani, i bambini e le persone abusate: questo è quello che conta.

Bergoglio non ha esitato a richiamare a questa radicalità evangelica il Cammino neocatecumenale, l’Azione cattolica, il Rinnovamento nello Spirito, la Comunità di Sant’Egidio, con la sua bonarietà ma anche con la sua schiettezza. Ai loro membri non chiede compattezza, ma testimonianza verace, profonda. Ripete che non si va nei salotti in gruppo a chiacchierare, ma ci si rimbocca le maniche come il Maestro e Signore che lava i piedi ai suoi discepoli. Papa Francesco compie gesti, fa, agisce e parla di conseguenza. Convinto che la Chiesa non possa essere “una ong” nell’accezione negativa della parola, piuttosto che debba somigliare a “un ospedale da campo”. Vuole credenti coraggiosi che sappiano inoltrarsi nelle “periferie geografiche ed esistenziali”, non paludati intellettuali chiusi nelle aule accademiche o nelle sacrestie.

La domanda è: nelle comunità parrocchiali che aria tira? Chi è un “outsider”, cioè non ha un’etichetta di un gruppo o di un movimento, viene accolto come fratello e sorella? Oppure guardato con sospetto perché privo dell’imprimatur associativo? Viene ascoltato, o marginalizzato perché ha idee troppo “progressiste” e fuori dal coro?

Per non parlare di chi ha situazioni “difficili” alle spalle: un figlio disabile che magari può “disturbare” durante la Messa, o il “problema” di allattare il proprio neonato durante la celebrazione (in terra di missione è normale farlo e il pontefice ha esortato le madri a non esitare pure nella Cappella Sistina, mentre battezzava i loro figli lo scorso gennaio). Forse nei gruppi parrocchiali bisognerà allenarsi a uno stile inclusivo e non ghettizzante nei confronti dei cani sciolti che, per i motivi più svariati, in un’associazione o in un movimento non mettono mai piede o ci si sentono stretti.

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Da redattoresociale.it


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