Lo speaker Gianni Simioli: “Napoli, una città che fa paura all’Italia”

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Raggiungo telefonicamente Gianni Simioli showman, autore, dj radiofonico e volto televisivo. Da qualche anno la mattina conduce dalle frequenze di Radio Marte, uno dei maggiori network radiofonici della Campania, il programma “La Radiazza”, lo show “pariante e pensante”. Un programma  fatto per divertire e riflettere. L’occasione, però, di realizzare quest’intervista c’è la offre l’uscita del secondo cd “Cafè do Friariell”, prodotto dall’etichetta “Jesce Sole”. Si tratta di un progetto musicale ideato e curato proprio da Simioli per proporre una play-list musicale sull’eccellenza della musica che Napoli da sempre continua a produrre. In questo secondo disco accanto a inossidabili classici come “Cerasella” cantata da Gloria Christian, “Frida” nella versione di Fred Bongusto e “Resta cu mme” di Marcella Bella, Simioli ci mette i suoni nuovi del rap, la voce di Capone & Bungtbangt a cui segue Grazia Gresi.

Allora Simioli come mai ha voluto intitolare questo suo progetto musicale “Cafè do friariell”?
Semplicemente per due motivi. Il primo per creare un nesso simbolico tra la canzone napoletana e questa infiorescenza che ritroviamo solamente nelle nostre campagne, e che poi a tavola è così buona, e poi per voler scimmiottare le compilation commerciali che ancora oggi riscuotono parecchio successo.          

Ho l’impressione che con questo secondo disco lei abbia voluto porre l’attenzione sull’ aspetto più internazionale della canzone napoletana. Sì, ho voluto conferire a questo lavoro discografico un aspetto più internazionale, allargando i confini rispetto a quello precedente ma mettendo in luce anche nomi nuovi, voci emergenti che stanno nascendo in questa città. Lo posso definire un disco più moderno con più cose nuove alle quali, poi, si contrappone un testo di grande valore come “Frida”, purtroppo dimenticato, interpretato dallo stesso Fred Bongusto. Insomma una provocazione.

Nonostante siamo qui a riflettere su questo tema, alla canzone napoletana credo non siano riconosciuti i giusti meriti, non sia data l’esatta collocazione. Come mai?
Bisogna analizzare i nostri demeriti. Se non sai vendere i prodotti che hai nel tuo negozio vuol dire che non sei un buon venditore. Quando Renzo Arbore ha realizzato “L’Orchestra italiana” sono stati tanti ad additarlo, ad accusarlo e a considerarlo uno “straniero” che quasi senza averne diritto si impossessava di un patrimonio musicale senza quasi averne diritto. Sull’operazione messa su da Albore si potrebbe non essere d’accordo da un punto di vista tecnico, ma questo è un aspetto secondario che  riguarda maggiormente gli addetti ai lavori. Il problema è un altro.

Quale?
Perché prima di Arbore nessun artista napoletano ha pensato di realizzare un’operazione del genere? Purtroppo, ancora oggi, sono in tanti a non aver capito che con l’editoria musicale si possono guadagnare molti denari. Tra quelli che non lo hanno capito io ci metto anche la nostra classe politica regionale molto miope su questi temi. A dire il vero noi, da sempre, siamo stati abituati ad essere circondati da tanta bellezza e forse per questo siamo incapaci di valorizzare il nostro patrimonio anche se tantissime persone vogliono conoscere sempre meglio questa musica.

Con il suo programma “La Radiazza” pone l’accento anche su argomenti scottanti di stretta attualità. Uno sui quali vorrei soffermarmi riguarda proprio quello dell’inquinamento dei territori della Campania e più in particolare della cosiddetta “Terra dei Fuochi”. Perché ha deciso di realizzare un programma del genere?
Da trent’anni faccio questo lavoro, e quando l’età anagrafica aumenta,  probabilmente, si diventa più sensibili. Io, da sempre, sono in continuo cambiamento, mi metto sempre in discussione e quando ogni giorno osservo l’ impotenza e la rassegnazione  negli occhi delle persone non posso fuggire dalle mie responsabilità. Per questo ho ritenuto giusto mettermi al servizio della mia gente. Provo a fare con la radio un servizio per la comunità campana, per gli “Stati Uniti della Campania”, cercando di non sprecare il tempo che la direzione di Radio Marte mi mette a disposizione. Lo faccio per temi tanto complessi come questo dell’inquinamento, ma anche per gli artisti emergenti o del tutto sconosciuti che non trovano spazio altrove. Ricordo quando ho accesso le luci su due giovanissimi rapper come Clementino e Rocco Hunt che adesso conoscono in tutta la penisola. Senza trionfalismi o falsi moralismi da semplice cittadino voglio mettermi al servizio della mia terra. Per questo accuso la borghesia e gli intellettuali napoletani che continuano a vivere nel proprio immobilismo. Ma non voglio lasciarmi coinvolgere in velleitarie polemiche. Io, personalmente, voglio rimboccarmi le maniche perché sono un cittadino di questa terra.

A Roma, prima della finale di calcio di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, si è consumata una tragedia. Un tifoso della Roma ha sparato colpi di pistola contro i napoletani. Due feriti e un morto, il giovanissimo Ciro Esposito, dopo oltre trenta giorni di agonia. In quest’occasione si è scatenato un massacro mediatico contro Napoli, puntando l’indice addirittura sulla provenienza di Ciro il quartiere di Scampia. In pratica la stampa nazionale per tanto tempo ha voluto far credere che gli aggrediti fossero violenti aggressori. Perché secondo lei avviene tutto questo? Parlare male di Napoli significa parlare male del Sud?
Sì, tutto questo è assolutamente vero. Napoli è una citta molto temuta, che fa paura all’opinione pubblica nazionale.

Perché afferma questo?
Abbiamo una grande cultura che ci potrebbe offrire tutti gli elementi per poter ragionare e questo, ne sono convinto, fa paura. Ma poi siamo anche un po’ anarchici e consumatori di beni e fruitori di servizi e se tutto questo dovesse saltare provocherebbe un vero e proprio tsunami nazionale. Non si tratta di vittimismo ma di guardare le cose con oggettività. E poi se a dire basta è anche un grande artista come Pino Daniele vuol dire che questi attacchi contro Napoli sono veri e spesso anche del tutto gratuiti. Non faccio assolutamente la battaglia al nord, ma solo ad un  certo modo di fare politica che giunge dal nord di questo Paese che non condivido.

Ritorniamo alla musica. Un tempo erano i poeti, con le loro prose che diventavano canzoni, a far conoscere Napoli nel mondo. Adesso la nuova voce della canzone che nasce a Napoli e al Sud potrebbe identificarsi con i rapper metropolitani?                                                  Sicuramente proviene dalle periferie la nuova voce della canzone napoletana. Quando ho incominciato a condurre in radio il programma “La radiazza” sostenni, sin da subito, che alcuni di questi brani diventeranno dei classici, con alcuni di essi si potrà stilare un manifesto storico della città.

Spesso i “puristi” della canzone napoletana mal digeriscono interpretazioni di artisti che non conoscono la lingua madre. Ma ascoltare, faccio un esempio, Noa o Mina che cantano canzoni classiche napoletane, anche se commettono qualche errore di pronuncia non rappresenta, comunque, un valore aggiunto?
Certo, si tratta di un rischio da pagare. Chi non accetta altre interpretazioni, seppure imperfette, è un miope perché le canzoni sono del mondo. Per questo motivo alla radio faccio ascoltare interpretazioni della canzone napoletana in polacco o in inglese. Pensiamo se un giorno un’artista del calibro di Barbara Streisand decidesse di incidere un disco di classici napoletani. Si tratterebbe di una cosa meravigliosa. Questa è una musica universale che non può essere ignorata. Per questo approfitto anche dell’ospitalità di Articolo 21 per chiedere a tutte le radio della Campania di non aver paura di trasmettere questa musica, di non aver paura di trasmette brani in lingua napoletana di grandi artisti come Enzo Gragnaniello. Purtroppo i network nazionali blindano i palinsesti a questo tipo di musica. Non è possibile non ascoltare alla radio questa melodia, non è possibile non ascoltare “O sole mio”. Anzi se indossassi le vesti di un politico proverei subito a formalizzare una proposta di legge.

Quale?
Imporre alle radio campane di rivedere i propri palinsesti inserendo nella programmazione il 20% di musica napoletana. Io mi considero un gallerista che guarda al prodotto e al guadagno, ma anche al prodotto locale.


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