Meglio meno leggi ma buone

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Che il problema non sia di fare in fretta le leggi ma di farne meno e meglio, Walter Tocci lo dice da molto tempo. Eccovi un suo testo di qualche tempo fa:

“Decidere in politica significa produrre leggi e la forza del leader è misurata sempre più sulla capacità di imporle sbaragliando le resistenze. Legifero, ergo sum è il motto del politico nell’epoca della personalizzazione.

Ci sono le «leggi manifesto» che rispondono a momenti di emozione dell’opinione pubblica, inventando norme inutili o dannose solo per dimostrare che si fa qualcosa, ad esempio molte leggi sulla sicurezza e sulla corruzione. Ci sono poi le leggi ideologiche, che pretendono di applicare i principi identitari di una parte e spesso finiscono per arenarsi nel contenzioso costituzionale, come nei casi delle ronde o della procreazione assistita. Ci sono le leggi bugiarde che dicono una cosa positiva per nascondere quella negativa, come la legge Gelmini, che prometteva più competizione tra gli atenei mentre li soffocava con la burocrazia. Ci sono le leggi approvate per calmare i mercati, che si sono sempre risolte con il peggioramento del deficit, come le leggi finanziarie dell’ultimo decennio. Si approva una legge e prima di attuarla già viene modificata. Il governo chiede tante deleghe legislative che poi non è in grado di utilizzare. Si invoca la velocità nell’attività parlamentare, ma le leggi approvate in fretta sono anche le più dannose: il Porcellum in poche settimane, le norme ad personam di gran carriera, le leggi Fornero sotto lo sguardo ansioso dei mercati, mentre ora tutti vorrebbero correggerle.

Questo futurismo legislativo si riveste del buon senso di frasi fatte come «il mondo cambia e bisogna fare in fretta», ma diffonde solo l’epidemia burocratica. Aveva ragione Luigi Einaudi nel considerare la lentezza parlamentare una fortuna proprio perché limita l’ipertrofia normativa. Bisogna riscoprire la virtù dell’indugio che fa decantare la discussione pubblica fino a che non si deposita in solide certezze, alle quali si potrà dare il sigillo della forza dello Stato. La vera riforma istituzionale dovrebbe rallentare la procedura legislativa: poche leggi l’anno, magari in forma di Codici unitari che regolano organicamente interi campi della vita pubblica, delegando funzioni gestionali al governo e aumentando i poteri di controllo e di indirizzo del Parlamento.

L’iper-normativismo è la miseria del decisionismo. Da venti anni la classe politica reclama maggiori poteri, ma non avendo idee si riduce a produrre norme. Confonde la propria incapacità di Decisione con l’assenza di autorità dello Stato. Questo equivoco alimenta l’interminabile dibattito sulle riforme istituzionali.”

Da corradinomineo.it


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