Bruna Bellonzi, una caratura professionale, politica e umana tutta sua, che la rendeva speciale

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Sarebbe, secondo me, sbagliato associare nel ricordo Bruna Bellonzi alle grandi persone che l’hanno accompagnata nel suo cammino umano, a cominciare da Sandro Curzi, marito amatissimo e professionista che ha segnato una pagina di grande rilievo nel panorama del giornalismo italiano. A cominciare dai suoi amici e dalle sue amiche, con i quali condivideva la passione politica e molti interessi culturali. Un nome tra tutti: Miriam Mafai, mancata nell’aprile dello scorso anno, legata a Bruna da un affetto quasi settantennale.

Sarebbe sbagliato perché Bruna aveva una caratura professionale, politica e umana tutta sua, che la rendeva proprio speciale. Tanti di noi, giovani giornalisti di sinistra negli anni settanta e ottanta, hanno imparato a conoscere i suoi scritti sempre lucidi e attenti al mutare dei tempi. In quell’epoca difficile, Bruna rappresentava, ovviamente insieme a Sandro, un punto di riferimento, il centro di una riflessione collettiva, spesso autocritica, su cosa volesse dire fare informazione avendo radici politiche a sinistra. Mantenendo nel contempo spirito critico e onestà intellettuale.

Una riflessione che non poteva non partire dall’interno delle organizzazioni rappresentative della categorie, dalla Federazione Nazionale della Stampa, nella quale una generazione di grandi giornalisti sostenne il peso dei travolgenti cambiamenti tecnologici ed etici. Miriam Mafai, appunto, Piero Agostini, Adriano Falvo, Sergio Borsi, Luciano Ceschia, tanti altri, e non ultimo lo stesso Sandro Curzi. Realizzarono, pur tra qualche contraddizione, importanti conquiste di libertà e di autonomia, con contratti di lavoro che riconoscevano il ruolo delle redazioni e del sindacato. Bruna c’era sempre, ai congressi e alle riunioni, alle discussioni ed anche nei momenti in cui la componente progressista di Rinnovamento andò in crisi e nacque sulle sue ceneri Autonomia e Solidarietà e il Gruppo di Fiesole, guidato da Beppe Giulietti. A divisioni dolorose seguirono nei primi anni novanta occasioni per ricompattare le diverse anime che sostenevano e sostengono tuttora le ragioni della qualità, del pluralismo e della correttezza dell’informazione.

Aggiungo un ricordo personale di quegli anni, quando Bruna Bellonzi, con la sua dolce ironia, mi incoraggiò a ritrovare un percorso sindacale e politico verso l’unità del giornalismo democratico. Furono parole critiche, anche dure, ma pronunciate con quel sorriso senza uguali, con gli occhi vivissimi che Bruna stringeva dietro gli occhiali. Sì, Bruna c’era sempre, ti ascoltava e diceva la sua. Come ha sempre fatto.


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