Un patto tra i candidati. Caffè del 22/9

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I nodi vengono al pettine. Quelli del governo e quelli del Pd. Corriere della Sera: “Saccomanni pronto a lasciare. Basta compromessi. Inevitabile l’aumento dell’IVA”. Da maggio in poi, tirando un po’ a campare, il governo ha allentato le maglie del rigore, in particolare c’è stato quell’inutile e costoso regalo, ai proprietari di case pregiate, di ville e di palazzi lussuosi, preteso da Berlusconi e concesso da Letta. Risultato: sforiamo il limite del 3 per cento nel rapporto deficit PIL. Dice Saccomanni: non mi metto neppure a cercare il miliardo che serve subito visto che si sente aria di elezioni già a febbraio. Dice Renzi: se si sfora il tetto la colpa è di Letta, che ha ceduto sull’IMU e ha ottenuto poco dall’Europa. Le vestali della stabilità, che un anno fa lo coccolavano come panacea dei mali d’Italia, ora accusano il Sindaco di Firenze di destabilizzare l’unico governo possibile. Repubblica. “Caos Pd. Renzi contro il premier”. Il Giornale si vendica della battuta: “Il Pd si asfalta da solo. Renzi ed Epifani non trovano l’accordo sulle regole. Figurarsi per governare!”. E il Fatto, “Democratici, caos e fuga”, affonda la lama nel ridicolo di un organo pletorico, eletto anni fa e tenuto in vita dall’ostinata volontà di rinviare il congresso, che si è perduto, ieri, una metà abbondante dei componenti quando gli si chiedeva di cambiare la regola fondatrice del Pd, e cioè che il suo leader sia anche il candidato naturale per la Presidenza del Consiglio.

Qui devo una spiegazione, perché l’uso di paroline e frasette ha generato molta confusione. Se i dirigenti del Partito Democratico fossero in maggioranza d’accordo con Barca, convinti cioè che l’Italia non si possa risanare imponendo, con una modifica della Costituzione, quel sistema bipolare che non ha funzionato nel ventennio trascorso. Ma, invece, che si debba prima di tutto costruire un partito nuovo, intelligenza collettiva di lotta e di governo, con ramificazioni in ogni dove, lievito di idee e di analisi scientifiche sul campo, allora sarebbe naturale separare il ruolo del partito e del segretario, da quello del governo e del premier. Ma così non è.

Il Pd è nato “a vocazione maggioritaria”: un uomo, un sogno, un governo. E anche quando ha sostenuto la necessità di allearsi (preferibilmente con il Centro) il segretario è restato gestore dell’intesa e capo naturale del Governo. Anche quando, come ha fatto Bersani, ha accettato di farsi contendere la leadership da sfidanti, interni ed esterni al Pd, ma che non avevano dietro la struttura di partito. Dunque, che senso ha cambiare la natura originaria con un voto di un’assemblea nazionale ormai esangue?

Ve lo dico, il senso! Perché si coglieva molto bene dalla galleria dell’Auditorium della Conciliazione, dove ero seduto, ieri, con invitati e giornalisti, per seguire i lavori dell’Assemblea Nazionale. Da lassù si vedevano due partiti. Quello dei candidati segretario, nell’ordine di intervento, Cuperlo, Renzi, Pittella e Civati. E l’altro, protagonista della notte per cambiare le regole, preoccupato che il prossimo congresso non disturbasse il manovratore, cioè il governo Letta – Alfano.. L’abbraccio tra Cuperlo e Renzi, l’affondo di Cuperlo contro chi non ha convocato prima il congresso, quello di Renzi che restituiva al governo le responsabilità del governo, facevano tremare questo altro Pd. Che alla fine se l’è presa con Civati, accusandolo di aver fatto saltare l’accordo raggiunto nella notte. Anche perché, a parer loro, Pippo deve restare nella sfera dei buoni sentimenti e della rincorsa dei tweet e delle proteste, ma non occuparsi di politica, che è cosa da grandi.

Ecco, in grande sintesi, cosa hanno detto i 4. Cuperlo. Siamo stati subalterni al liberismo e al neo capitalismo rampante, abbiamo lasciato che i ricchi diventassero ricchissimi e che si diffondesse ovunque la povertà. Perciò, quando (dal 2008) la crisi più grave del secolo ha mostrato la corda di questa ideologia dell’ingiustizia fatta propria dell’ultimo Occidente, la sinistra non ne ha approfittato, ha perso la rotta e si è nascosta. Priorità è cambiare il Pd.

Renzi. Ha ricordato a Cuperlo che dopo il 2008 Wall Street è diventata più forte e arrogante, la distribuzione della ricchezza ancora più ineguale. Non è dunque fallita tanto la ricetta della destra (in Italia quella di Berlusconi), quanto la capacità della sinistra di proporsi come alternativa. Il primo nodo è il lavoro, ha detto Renzi, ma non abbiamo linea per il lavoro. Parliamo tanto di stabilità, ma non capiamo che senza liberare il partito dal conformismo burocratico (quest’ultima definizione è mia e serve per sintetizzare), non riusciremo a vincere contro la destra e non avremo vera stabilità.

Pittella. Il nodo è l’Europa. Cercare, contrattare, inventare un’uscita dalle forche caudine del pareggio di bilancio. Senza non avremo futuro. Costruire un’Europa politica, con un presidente della Commissione direttamente eletto, e una vera politica estera. È questo lo spazio nel quale  costruire il futuro del socialismo europeo e del Partito Democratico.

Civati. Ricostruire la sinistra, aprendo a SEL. Riprendere la strada del cambiamento. Cambiare profondamente il partito, liberandolo dalla estenuante trattativa tra le correnti. Riannodare il dialogo con gli iscritti di ieri, con i giovani che cercano un confronto e non lo trovano, con quelli che hanno votato alle primarie. Quanto al governo, legge elettorale e di stabilità: poi si voti al più presto, già in Primavera.

Se rileggete questi quattro capoversi, scoprirete che nessuno dei candidati rappresenta i 101, cioè quella parte del partito che ha sacrificato Prodi in nome del governo con il PDL, nessuno dei candidati difende le “larghe intese”, né la spartizione delle nomine tra le correnti. Nessuno vuole un partito stato a cui movimenti, lobby, “territori” consegnano una lista di richieste da esaudire, se il patto di stabilità lo consente. Per tutti questi democratici senza candidato, il congresso il giorno dell’immacolata è un vuoto a perdere. Forse aspettano Letta, ma Letta è trattenuto al governo.

Che fare? Un patto tra i candidati per tenere davvero il congresso, per discutere di politica (anche con Barca, magari anche con me) e mandare a casa un gruppo dirigente, pieno di brave persone, ma che ha distrutto il partito, lo ha appiattito sul governo e, dunque, piegato al ricatto di Berlusconi. A quel punto, il mistero dei 101 sarà svelato, l’altra corrente, nel nome di Letta e di Napolitano scenderà in campo. E il Pd potrà scegliersi un futuro.

da corradinomineo.it


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