L’indifferenza globalizzata. Il caffè di martedì 9 luglio

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“Immigrati perdonateci”, Repubblica. “La scossa del Papa”. La Stampa. “Basta indifferenza”, Corriere. Ma il titolo più evocativo è quello dell’Unità: “Cristo è sbarcato a Lampedusa”. Ecco cosa ti aspetti da un Francesco, non che apra ai Catari, altri continueranno a vigilare sull’ortodossia nella Chiesa, ma che rompa la cortina ipocrita del silenzio, che come Cristo cammini con gli ultimi, simpatizzi con loro. È tanto. Bergoglio ha strappato il velo scuro dell’omertà sui ventimila morti nel nostro mare, per conseguenza di una nostra scelta. La destra, ha la coda fra le gambe e tace. Certa sinistra parla di un Papa “rivoluzionario” e dimentica quanto poco abbia fatto, lei , per questa rivoluzione. Dice Staino: “Il Papa a Lampedusa cancella la Bossi Fini. I due autori, per fortuna, li ha cancellati la storia”.

tutto qui? Non proprio. Come in teatro, ogni buona interpretazione cambia il copione e lo arricchisce. Le grida contro il relativismo di Ratzinger sembravano rivolte piuttosto contro i matrimoni gay e la libertà sessuale. La condanna di Bergoglio sembra colpire l’ideologia del neo capitalismo, quella “globalizzazione dell’indifferenza”, per cui denaro e merci hanno uno statuto specialissimo mentre  donne, uomini, bambini, no. Restino in ceppi, nel luogo che ha loro dato i natali. Variabile dipendente del sogno opulento e occidentale.

“Una macchia sui militari che cambierà il corso di questa rivoluzione”. È il titolo del pezzo di Bernardo Valli, su Repubblica. Dopo la strage di ieri al Cairo e in attesa di un Ramadan di sangue. Scrive Valli che i militari hanno reagito a un assalto alla caserma dove i Fratelli Musulmani pensavano fosse trattenuto Morsi. Ma i Fratelli si erano portati i bambini, bersagli vocianti in mezzo ad altri. Ora la strage di innocenti rende più difficile la transizione, riduce lo spazio di mediazione per i militari, consente alla Fratellanza di presentarsi come vittima di un abuso. Ma mi piace anche che nel titolo di repubblica sia stata ammessa la parola “rivoluzione”. Che non si fermerà. Anche se – va detto – bruciata la carta dell’esercito non si sa con quale strutture, con che idee e grazie a quali uomini, possa gestire la transizione. Morti nel mare. Morti in Egitto. Non possiamo restare indifferenti. È fra quei morti del mare, tra i sogni e le speranze che agitano la riva sud del Mediterraneo, che l’Europa può trovare il senso di sé, il significato più profondo della sua storia.

Kashmir e Giornali. Loro Piana è francese: due miliardi la mercede pagata. I dandy  e le lady del mondo sognano  forse un calore italiano, ma finanziano l’industria francese del lusso. Così vuole la globalizzazione della finanza: vince chi ha riserve illimitate di euro. Si ammainino le altre bandiere. E l’Italia? Un luogo, non un soggetto. Tuttavia, prezioso, se Sergio Marchionne definisce “strategico” l’interesse della Fiat per il Corriere. E se il signor Tods, si appella addirittura a Napolitano perché consenta un’appropriazione plurale (e non aziendale) del salotto buono del giornalismo milanese. Ce la farà della Valle? Ne dubito. Con l’aria stagnante che si respira in Italia, vedo un arroccarsi dei poteri, un patto tra i pesci grossi. Tutto sommato spero di sbagliarmi. Un Corriere by Marchionne potrebbe perdere anche quel po’ di corda lunga che gli ha consentito qualche scoop in cronaca. Anche se continuo a non fidarmi di nessun “capitano coraggioso”.

Matteo Renzi concede un’intervista a Repubblica e, per una volta, non si limita a lanciar segnali. Racconta cose.  Spiega, per esempio, cosa voglia D’Alema da lui. “Devo fare fra qualche anno il candidato premier scelto dal partito. Per questo immagina Strasburgo (il Parlamento europeo) come luogo per acquisire esperienza internazionale…. non lo considero un trappolone”. Ma Renzi, sembra di capire, preferisce comunque cambiare il partito. Ne vuole uno leggero, non burocratico, meno dipendente dal finanziamento pubblico, che apra agli elettori e ridimensioni il potere degli iscritti (ma hanno un potere?). Un partito “leggero”, con un leader “forte”. Su L’Unità, invece, Alfredo Reichlin, non si rassegna a ridurre il dibattito congressuale alla ricerca di un capo. Colpa dei media, dell’ideologia neo capitalista che svilisce la politica e colpisce a morte  l’idea di partito? Certo. Ma anche conseguenza delle scelte che – a fin di bene, ne convengo – Napolitano ha imposto al Pd e al Parlamento. Potrei definirlo, “un vivo e vibrante non fare nella trepida attesa del semestre italiano e del progetto di riforma della forma del Governo e del Bicameralismo”.

Oggi arriva in aula al Senato la legge che avvia il percorso costituzionale. 42 parlamentari (senatori e deputati) chiamati a proporre un progetto organico. Con tempi contingentati e un potere di emendamento ridotto. Tuttavia, nella commissione Affari costituzionali, non si è rotto il dialogo con le opposizioni (SEL, Lega e 5 Stelle), sono state ridotte le pretese di stravolgere la Costituzione con attacchi all’autonomia della Magistratura o alla Corte Costituzionale, si è assicurato che le Camere (sia pure nello stretto dei tempi) rimangano sovrane, si è previsto comunque il referendum confermativo. Soprattutto, si è chiarito che il Parlamento può (e dovrebbe) approvare, indipendentemente dal lavoro costituente, una nuova legge elettorale provvisoria, che cancelli la vergogna della “porcata”. Ma ecco che Napolitano si lascia sfuggire: “c’è un preciso programma deciso dal governo. Il problema della legge elettorale sarà sciolto via via”. Forse non ha detto, il Presidente, che il Parlamento non debba far subito una nuova legge, ma sembra aver spezzato una lancia a favore di una tesi condivisa da Berlusconi. Per cancellare la porcata, è meglio aspettare 18 mesi (il tempo di un doppio parto). Tanto prima non si vota.

da corradinomineo.it


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