Data journalism: i 6 errori che i giornali non dovrebbero fare, secondo Arenstein

0 0

Non è vero che il dj sia costoso e richieda tante risorse, né che il miglior giornalismo dei dati si faccia con le breaking news. Il tempo di imparare c’ è, basta organizzare le redazioni, e non è necessario spendere soldi extra budget per comprare il software. Non ci si deve arrendere se la pubblica amministrazione non ti concede quei dati, ci sono altre strade. E non è vero infine che ogni testata debba fare tutto da sola.
L’ importante – dice Arenstein – è che, quando serve, il giornalista che lavora sui dati ragioni da hacker.

La maggior parte di quello che viene chiamato ”data journalism” (giornalismo dei e con i dati) è in realtà solo il frutto di una ‘’pornografia dei dati’’ ego-diretta: belle immagini create intorno a numeri senza alcun valore reale per il lettore. Lo sostiene un “guru’’ dei dati a livello internazione, con solide credenziali nel campo giornalistico, Justin Arenstein , come racconta Kylie Davis su Imma.org.

Arenstein, chief strategist al Knight International Fellow dell’ International Center for Journalists in Sud Africa , ha spiegato al recente World Editors Forum di Bangkok che le testate giornalistiche devono smetterla di cercare di ‘’entrare’’ dentro il giornalismo dei dati. Mentre dovrebbero, piuttosto, chiedersi come una buona narrazione giornalistica può essere aiutata da dati.

“I nuovi strumenti non sostituiscono il giornalismo tradizionale”, ha detto Arenstein a un pubblico affascinato, in un workshop di tre ore che sono sembrate tre minuti.

Il giornalismo dei dati “non è più solo intrattenimento né più solo voyeurismo, ma la creazione di strumenti decisionali basati sulla narrazione giornalistica”.

Capelli ricci e lunghi fino alle spalle, una T-shirt con codice a barre a forma di Africa, Arenstein – racconta Davis – incarna lo stereotipo visivo di un hacker-nerd.

E di fatto lo è. Ma, mentre la maggior parte dei “giornalisti di dati” hanno una formazione in programmazione, Arenstein viene invece da una storia gloriosa di giornalismo investigativo, con vari premi, che ha ottenuto guidando piccoli staff redazionali in tutta l’ Africa.

La sua convinzione appassionata è che il giornalismo dei dati – e la comprensione degli strumenti utilizzati per masticarli, rivelare le connessioni e illustrare in modo creativo – è uno dei più grandi strumenti nella cassetta degli attrezzi del moderno giornalista.

E ora lavora regolarmente con Google, Mozilla e Microsoft per diffondere il ‘’vangelo’’.

Ecco la sintesi dei principali errori che le aziende moderne fanno – e di come si potrebbe evitarli – elaborata da Hylie Davis sulla base delle indicazioni che Arenstein ha fornito nella sua presentazione:

Mito n ° 1: il giornalismo dei dati è costoso e richiede un sacco di risorse.

In questi giorni di tagli generali, troppe grandi idee di data journalism vengono fatte cadere al primo ostacolo, quello del “non possiamo assumere qualcuno per questo progetto”. Ma, come sottolinea Arenstein, questo è un difetto nel pensiero creativo.

Ci sono varie borse di studio e programmi studiati proprio per inserire esperti di dati in team giornalistici gestiti a livello internazionale da parte di Google, Mozilla e Knight International.

Con l’ ‘’open source code’’ si possono ottenere delle serie ‘’pulite’’ con poche centinaia di dollari (“soldi veri”) e una settimana di lavoro redazionale, compreso quello del data cruncher.

Mito n ° 2: Il miglior giornalismo dei dati si fa con le ultime notizie.

No, non è così. Lo sviluppo del data journalism non nasce semplicemente dalla voglia dei lettori di intrattenimento o divertimento, ma è legato alla possibilità di ”estrarre intelligenza credibile e concreta dal getto potente dell’ informazione” che è il flusso giornaliero dei media.

Arenstein consiglia di rivolgersi verso le storie che hanno persistenza, non verso le breaking news.

Chiedetevi: “Qual è la sofferenza che i miei lettori stanno cercando di risolvere nella loro vita?” E cercate di vedere che ruolo in questo quadro possono svolgere i dati.

Saranno, invariabilmente, settori come la sanità, l’ istruzione, la criminalità, il governo, ecc. Costruite delle strutture di dati solide intorno a questi argomenti e cercate di fare in modo che la narrazione sia alimentata da loro.

Mito n ° 3: La nostra redazione non ha il tempo di imparare il giornalismo dei dati.

Sciocchezze, dice Arenstein. Imposta la tua redazione in modo che i giornalisti devono usare la loro prima ora di lavoro, ogni giorno per due settimane, in un programma di formazione autogestita. Usa video tutorial gratuiti online per migliorare le loro competenze, dalla creazione di dati in Excel fino all’ utilizzo del codice open source – a seconda del loro livello di abilità.

Utilizza schoolofdata.org, che fornisce moduli di apprendimento on-line intorno ai dati.

Mito n ° 4: Avremo bisogno di coinvolgere un esperto di IT e spendere dei soldi extra budget per comprare il software.

Il maggiore ostacolo per le testate per fare un miglior data journalism è pensare come uomini di giornale, quando dovrebbero invece cominciare a pensare come hacker.

Si possono utilizzare a qesto proposito gli spunti di Knight-Funded Ideas, che investe milioni di dollari nel finanziamento di nuovi esperimenti nel campo delle comunità e dell’ impegno, incluso il campo del giornalismo. Gran parte del codice è open source e può essere plug-and-played.

Mito n ° 5: Non abbiamo alcun dato.

Robaccia! Il governo dice che non possono comunicare i dati, e tu ci credi? Ora bisogna ricominciare a pensare come un giornalista – e trovare un’ altra strada.

Fai su Google una ricerca su fonti come “open data” e “open institute” per scoprire cosa è liberamente disponibile nelle fonti di dati della tua zona.

Trasforma i tuoi articoli in un database con strumenti come DocumentCloud , che può aiutare la scansione di dati da file PDF. Comincia a usare il geo-tagging per i tuoi articoli e cerca nomi miniera e aziende per fare connessioni. Anche il proprio database di abbonati può essere una fonte di informazioni.

Mito n ° 6: Dobbiamo fare tutto da soli.

“Una testata individuale non ha bisogno di assumersi la responsabilità di reinventarsi completamente”, dice Arenstein. “C’ è un ecosistema internazionale in crescita e una comunità che le aziende giornalistiche possono avviare creando una rete globale fra le persone interessate a trovare soluzioni comuni e a sperimentare”.

Che aspettiamo?

Da lsdi.it


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21