Immunità diplomatica per il Papa dimissionario

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Di Francesco Peloso
Col passare dei giorni assume un significato più chiaro la futura permanenza del Papa in Vaticano. Una volta che le sue dimissioni diventeranno un fatto compiuto, Benedetto XVI non sarà più il capo dello Stato vaticano e neanche un cardinale, rimarrà un semplice vescovo, sia pure con prerogative particolari. E allora le mura leonine saranno la protezione più efficace per la sua figura, l’extraterritorialità garantirà infatti in modo assoluto anche l’immunità diplomatica. Il tema è delicato, ma la tutela e la protezione del Papa dopo la rinuncia sono fra le motivazioni che hanno pesato in modo determinante nella decisione assunta dagli alti funzionari vaticani di far restare il futuro ex-Pontefice in Vaticano.

Sullo sfondo di questa vicenda ci sono, fra l’altro, i diversi tentativi giudiziari – promossi da gruppi di vittime di abusi sessuali commessi da sacerdoti – di citare in giudizio l’ex cardinale Joseph Ratzinger quando questi ricopriva la carica di prefetto della congregazione per la dottrina della fede. Ma non sono mancati in tempi recenti anche i procedimenti che avevano per obiettivo quello di arrivare a coinvolgere il Papa. Sotto questo profilo bisogna considerare la lunga permanenza in incarichi decisivi di Ratzinger in Vaticano a partire dall’inizio degli anni ’80. “Va tenuto presente anche questo aspetto” dicono nei sacri palazzi, “non si può correre il rischio di un Papa emerito trascinato in qualche caso giudiziario per quanto improbabile sia. Si aprirebbe un vulnus incontrollabile”.

Negli ultimi anni, del resto, in particolare dagli Stati Uniti, più volte sono si sono ripetuti i tentativi di coinvolgere direttamente il Vaticano e il Papa nella responsabilità dello scandalo abusi sessuali. Due le strade seguite: da una parte si è cercato di dimostrare una teoria: e cioè che i sacerdoti colpevoli fossero equiparabili a ‘dipendenti’ del Vaticano; in secondo luogo – più concretamente – l’accusa ha provato a portare alla luce le prove che l’insabbiamento fosse avvenuto con il placet della Santa Sede. Nel corso del 2012 due processi per abusi sessuali, in Wisconsin e Oregon, sul primo punto hanno dato ragione al Vaticano, tuttavia la Corte Suprema degli Stati Uniti a suo tempo ha riconosciuto che il Vaticano può essere citato in giudizio nei procedimenti contro i sacerdoti pedofili. Infine l’estate scorsa, a giugno, c’è stata la prima condanna di un tribunale americano, questa volta a Philadelphia, di un funzionario di una diocesi, monsignor William Lynn, accusato non di pedofilia ma di aver coperto gli abusi. E’ stato insomma messo identificato un livello di responsabilità più alto. Da ultimo l’ex arcivescovo di Los Angeles, il cardinale Roger Mahony, accusato di aver coperto casi di abuso per molti anni, dovrà deporre davanti al tribunale il 23 febbraio, poco prima del conclave.

Tuttavia in questa vicenda il fatto nuovo è che un giudice abbia autorizzato la pubblicazione di decine di migliaia di documenti dai quali emergerebbe anche una corrispondenza delicata e forse imbarazzante fra lo stesso cardinale e il Vaticano, nello specifico con la congregazione per la dottrina della fede e con la congregazione per il clero. Di recente c’è stato anche un tentativo di denunciare il Papa davanti al tribunale dell’Aja per crimini contro l’umanità sempre a partire dallo scandalo pedofilia. Insomma il tema è caldo.

E certo è un paradosso che proprio il Papa più attivo sul fronte del contrasto agli scandali sessuali, scontratosi anche con la resistenza di gerarchie interne alla Curia e in giro per il mondo, sia al centro di tali vicende. D’altro canto è un fatto che lo scandalo abusi è uno dei convitati di pietra al prossimo conclave. Si pensi che anche il cardinale Sean Brady, primate d’Irlanda, è coinvolto in una vicenda d’insabbiamento conclamata e gli stessi fedeli hanno chiesto le sue dimissioni.

Ma Benedetto XVI resterà in Vaticano pure per altri motivi. La questione della sicurezza personale ha avuto il suo ruolo. Ratzinger infatti potrà essere difeso e tutelato nel modo migliore all’interno del piccolo Stato, mentre la sua eventuale residenza all’estero in qualche monastero sperduto non potrebbe godere della stessa attenzione. Non si può infatti dimenticare che i predecessori di Ratzinger, da Wojtyla a Paolo VI, sono stati oggetto di ripetuti attentati, a volta con matrice politica, in altri casi messi in atto da personalità disturbate. Ma certo il rischio non è mai venuto meno.

Quest’articolo è apparso anche sul Secolo XIX


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