‘Ndrangheta al Nord: potere criminale sostenuto da politica e economia

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La relazione annuale della Direzione nazionale antimafia punta il dito sul sistema generato dalle infiltrazioni nelle regioni colonizzate dalle ‘ndrine
di Norma Ferrara
L’immagine di una Italia sotto sopra in cui le mafie presenti da decenni nel Nord della Penisola hanno ricreato  – nelle regioni un tempo lontane dal radicamento del fenomeno mafioso – un sistema criminale, un potere mafioso, grazie all’appoggio di pezzi della politica, attraverso le amministrazioni pubbliche e di pezzi dell’economia, con il sostegno di imprenditori e professionisti. Questa l’immagine che emerge dall’analisi annuale realizzata dalla Direzione nazionale antimafia. Oltre ottocento pagine che fotografano mutamenti del sistema criminale mafioso che soffoca il Paese, segnalando una forte presenza al Centro – Sud, dove nonostante gli arresti i clan continuano a tenere la “testa” dei più importanti business criminali e a rigenerarsi sotto nuove “guide” e puntando il dito, anche quest’anno, sul fenomeno delle mafie al Nord, ‘ndrangheta su tutte, in Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria e Piemonte. Segnalando una pericolosità costante anche per regioni come il Lazio e un rischio di contaminazione per le altre in cui si registrano insediamenti (dal Nord –Est al Centro Italia). Non mancano i riferimenti ai casi di attualità, come per l’onorevole Cosentino in Campania, sotto accusa per concorso esterno in associazione mafiosa e in questi giorni al centro di polemiche per la ricandidatura e al lombardo scandalo legato all’inchiesta sull’assessore Zambetti, accusato di voto di scambio con i boss della ‘ndrangheta. Un ampio passaggio anche sull’infiltrazione nella filiera del gioco d’azzardo in mano a camorra e ‘ndrangheta. Di ieri l’operazione che in Emilia-Romagna ha smantellato una rete che operava nel mercato delle slot machine e video poker portando all’arresto di 29 persone, fra cui gli autori delle minacce al giornalista Giovanni Tizian, che queste infiltrazioni aveva raccontato già da tempo sulle pagine della “Gazzetta di Modena” e che si trova sotto scorta da un anno.

Cosa nostra guarda al passato. E’ alla continua ricerca di un vertice, della commissione, della struttura organizzativa che aveva un tempo e per sopravvivere continua a fare leva sulle vecchie regole, sulle tradizioni, senza trascurare gli affari. Così è descritta nella relazione della Direzione nazionale antimafia la fase attraversata dall’organizzazione criminale Cosa nostra. Le numerose operazioni delle forze dell’ordine che hanno portato in carcere oltre ai vertici storici della mafia dimostrano che c’è un continuo tentativo, per il momento stroncato dall’attività investigativa delle forze dell’ordine, di ricostituire la vecchia Cosa nostra, potendo ancora contare su una presenza stabile nei mandamenti, nelle province siciliane, da Palermo a Catania, passando per Messina e Caltanissetta. Così dalla “sommersione” Cosa nostra passa alla “transizione”. L’arresto di Matteo Messina Denaro, capo trapanese della mafia e ultimo dei latitanti di spessore criminale, legato al vecchio gruppo corleonese, “obiettivo di fondamentale importanza”  per gli investigatori. Nella relazione curata dal dott. De Lucia, si riconosce anche la sua egemonia sull’area occidentale della Sicilia ma si sottolinea che la latitanza è sorretta da “insospettabili”. Da segnalare, infine,  la rottura del muro di gomma nella provincia di Messina, alcune collaborazioni con la giustizia da parte di boss locali contribuiscono a far uscire la provincia e soprattutto la cittadina di Barcellona Pozzo di Gotto dal cono d’ombra informativo e investigativo in cui per molti anni, “ a torto” segnalano dalla Dna, ha vissuto.

Camorra, Zagaria e le sorti del clan dei casalesi. Cosa è cambiato in Campania dopo l’arresto del latitante, Michele Zagaria, cassiere del clan più feroce descritto in “Gomorra” di Roberto Saviano? La struttura rimane sostanzialmente com’è – scrivono i magistrati nella relazione. «La fine della latitanza di Michele Zagaria assume un significato di straordinario rilievo e costituisce un evento importantissimo anche per ciò che concerne la definizione attuale e futura dei complessivi assetti criminali, non sembra però che ad essa debba ascriversi addirittura la fine del clan dei Casalesi per come lo abbiamo conosciuto almeno negli ultimi venti anni – scrivono dalla Dna. Probabilmente, una sorta di avvertimento in tal senso può rintracciarsi in un inquietante dattiloscritto anonimo inviato allo stesso Zagaria lo scorso mese di marzo (quando, cioè, egli era già detenuto a Novara, in regime differenziato, che notoriamente prevede la censura della corrispondenza) il cui contenuto – dopo qualche tempo – è stato comunque divulgato anche dalla stampa». La relazione sottolinea la capacità dimostrata dalla camorra di arrivare a toccare piani alti della politica nazionale e sul caso dell’onorevole Nicola Cosentino, sotto accusa per concorso esterno in associazione mafiosa,  si legge: «i clan camorristici sono in grado di garantire equilibri di sì rilevante spessore criminale grazie alla propria capacità di interagire -in una prospettiva di respiro nazionale- con ciascuna delle componenti in questione E’ il ruolo che si è ritagliato (alla stregua delle risultanze investigative al vaglio dei giudici, ai quali è pure ancora affidata -in un separato giudizio – la valutazione sull’imputazione di concorso esterno che gli è stata ascritta) l’on. Nicola Cosentino, accusato di aver indebitamente influenzato le procedure finalizzate al finanziamento della complessiva operazione correlata alla realizzazione del predetto insediamento commerciale». Non manca un riferimento alla “guerra di Scampia” e al narcotraffico gestito dalla camorra, che ha generato ancora morti innocenti, come quella del giovane Pasquale Romano. Nella relazione la Dna sottolinea la necessità di una maggiore vigilanza della società civile e delle istituzioni locali contro il fenomeno camorristico.

La “Società” della ‘Ndrangheta: autonoma e unitaria. Il cuore della relazione anche quest’anno è rappresentato dall’analisi che la Direzione nazionale fornisce in maniera articolata sulla ‘ndrangheta, questo è dovuto alla sua potenza economico – criminale, alla sua capacità di globalizzarsi e occupare fette di mercato con economia criminale e  infine alla sua capacità di penetrazione nelle amministrazioni locali, nella politica e nell’economia del Nord Italia. Dalla Lombardia, alla Liguria, al Piemonte, all’Emilia-Romagna le ‘ndrine si muovono secondo una struttura, che la relazione della Dna conferma anche quest’anno, corrispondere a quella descritta nell’operazione Crimine – condotta dalle procure di Milano e Reggio Calabria. Per la ‘ndrangheta questa inchiesta rappresenta uno spartiacque tanto quanto il maxi processo a Cosa nostra, in Sicilia 25 anni fa. Una struttura ancora molto solida, quella del “Crimine”,  al cui interno governano soprattutto alcune cosche, quelle reggina, quella dei Piromalli dell’area tirrenica, quella dei Nirta dell’area Ionica e quella dei Condello. Non richiama esattamente il modello della cupola di Cosa nostra ma il “sistema criminale” messo in piedi dalla ‘ndrangheta consente di tenere insieme il cuore delle tradizioni e “la cassa economica” sempre ben salda nel cuore della Calabria ma le attività economico – criminali in attivo al Nord, in Europa, in Canada e in Australia. Dalla “ndrina” la struttura base del potere della ‘ndrangheta alla “Società” il livello più complesso in cui si organizzano le “locali” di ‘ndrangheta l’organizzazione criminale si muove come un sistema federato ma unitario. La relazione della Dna, in particolare, si sofferma “sulle emergenze” in Piemonte e Lombardia, dove sono in corso processi che coinvolgono anche il livello delle amministrazioni pubbliche: dal processo Minotauro, allo scioglimento dei comuni piemontesi avvenuto quest’anno per mafia, sino al caso Zambetti in Lombardia. Il voto di scambio – lo ricordano i magistrati – è la prova concreta di una penetrazione non più solo economica ma di un condizionamento della vita democratica e sociale di interi territori. E’ ancora saldamente in Calabria la testa del serpente e la disamina delle cosche, dei loro affari e del condizionamento delle amministrazioni comunali, su tutte quella di Reggio Calabria, commissariata a fine 2012,  vengono confermate anche nella relazione di quest’anno. Un interessante appello i magistrati della Dna lo rivolgono alla stampa locale scrivendo: «[…] il compito principale della stampa, anche e soprattutto di quella locale, dovrebbe essere quello di mostrare, giorno dopo giorno, ai propri lettori la vera zavorra che non ha fatto progredire la loro terra (che, per la verità, cento anni di storia hanno dimostrato essere la ‘ndrangheta e non chi vi si oppone). Già questo, ex se, e cioè una luce, un asettico riflettore continuamente acceso sui fatti, su questi fatti, porterebbe inevitabilmente ad una cultura civile ed ad una coscienza collettiva che si contrappone alla ‘ndrangheta. Le eventuali polemiche, dovrebbero farsi in questo quadro». Dalla Calabria alla Puglia la relazione della Dna sottolinea che sebbene non abbia diffusione oltre il proprio territorio d’origine c’è un forte pericolo per la capacità di radicamento e di infiltrazione nel tessuto economico da parte della  Sacra Corona Unita. In molti tendono a sminuire la portata criminale ma basta leggere la relazione nella parte relativa alle numerose operazioni effettuate dalla procura di Lecce per capire quanto forte sia l’aggressione dei clan a economia e territorio. Inoltre, è sempre più impegnata oltre mare, guarda ai Balcani e fa affari con le mafie dell’Est Europa.

Contraffazione, narcotraffico, tratta degli esseri umani e la “svolta” per i beni confiscati.Un’ ampia parte della relazione è dedicata ai nuovi  e vecchi business criminali gestiti da queste consorterie (spesso in join venture con altre mafie straniere: magrebina, nigeriana, russa).  La contraffazione in particolare, come dimostrato anche dalla relazione del Censis di quest’anno, è un fenomeno che è stato troppo a lungo sottovalutato e questo ha portato all’ingresso dei clan: pochi rischi e alti profitti hanno reso conveniente investire in questo settore. Un ruolo importante, come noto, è rivestito anche dalla mafia cinese e dai clan camorristici. Altri business “gestiti” insieme alle mafie straniere sono il  narcotraffico e la tratta e la riduzione in schiavitù degli esseri umani. Numeri che crescono di anno in anno, nonostante le attività di contrasto perché rimane alta anche la domanda, oltre all’offerta gestita dai boss. Infine, fra i tanti capitoli dedicati alla lotta alla mafia in questo anno dalla Dna, un passaggio importante sulla gestione dei beni confiscati. La Direzione nazionale antimafia, pur segnalando criticità derivanti dalle normative e dai tempi di applicazioni, saluta come “una svolta” per questo ambito di contrasto alle mafie la nascita dell’Agenzia nazionale per la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati ai clan. Un punto di non ritorno, dunque, per aggredire queste organizzazioni criminali al cuore: ai beni e patrimoni illecitamente accumulati

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