Dalla Sicilia un messaggio e un invito

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di Roberto Bertoni
Una cosa è certa: dopo il voto siciliano, nulla sarà più come prima nel nostro panorama politico. Lo sfondamento grillino, infatti, era nell’aria da tempo: le prime avvisaglie, forse eccessivamente sottovalutate, le avevamo avute già nella primavera del 2010, quando alle Regionali il Movimento 5 Stelle ottenne un ottimo risultato in Emilia Romagna e fu, purtroppo, decisivo in Piemonte, favorendo implicitamente Cota nella corsa contro Mercedes Bresso. Nel 2011, in quella meravigliosa primavera arancione che iniziò con le affermazioni di Fassino e Merola, rispettivamente a Torino e a Bologna, e culminò nella storica vittoria di Pisapia a Milano, nel trionfo di De Magistris a Napoli e nel raggiungimento del quorum ai quattro referendum su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento, il fenomeno Grillo sembrava essersi leggermente placato, battuto dall’affermazione della buona politica e da una riscossa civica attesa da quasi vent’anni. Poi, però, la crisi ha iniziato a fare sul serio, lo spread è impazzito fino a sfondare quota cinquecento punti, i mercati finanziari e le cancellerie internazionali hanno chiesto a gran voce l’uscita di Berlusconi da Palazzo Chigi e ogni certezza è andata in frantumi, a cominciare da quelle di una politica sempre più in affanno, costretta a subire il commissariamento di un governo tecnico che molti considerano tuttora l’unica alternativa credibile al dilagare dell’anarchia e, inevitabilmente, al default.

Posta in questi termini, tuttavia, la ricostruzione storica non rende giustizia e, soprattutto, non fa distinzioni tra chi ha condotto l’Italia sull’orlo del baratro e chi si è sempre battuto contro la deriva berlu-leghista, denunciandola nelle piazze e in Parlamento, spesso inascoltato, per lo più deriso e oggi, e questo è l’aspetto più grave dell’intera vicenda, accomunato nel discredito a coloro che hanno promesso di attuare una “rivoluzione liberale” e, invece, in dieci anni, non hanno varato alcuna riforma concreta nell’interesse del Paese.

Per fortuna, però, nonostante l’ondata di anti-politica e di ribellione che si è abbattuta sull’intera Penisola, esiste ancora una discreta maggioranza di cittadini in grado di discernere e di premiare chi, in questa drammatica stagione, non ha mai chinato la testa di fronte alle leggi “ad personam” o a mostri come il “Porcellum”; di dare fiducia a chi ha favorito e sostenuto con la massima lealtà un esecutivo difficile da appoggiare e di promuovere, nella stagione degli scandali e del malcostume diffuso, un messaggio politico limpido e improntato alla massima onestà come quello incarnato da Rosario Crocetta.

Per questo, ha ragione Pierluigi Bersani a rivendicare come “storico” un successo elettorale che, fino a pochi mesi fa, sarebbe stato impensabile, in una Regione da sempre feudo del centrodestra e spesso, purtroppo, dei suoi esponenti più discussi.
Sbaglia, invece, chi parla di “prima volta” per il centrosinistra, dimenticando l’avventura umana e politica di un galantuomo come Piersanti Mattarella che pagò con la vita la propria sfida riformatrice, quella “buona battaglia” che lo spinse a mettersi contro i poteri occulti dell’Isola fino a farsi odiare, fino al sacrificio estremo in nome della correttezza e della legalità. E sbaglia anche chi dimentica che uno degli ispiratori di questa lotta impari di Mattarella contro la corruzione e la mafia fu un suo avversario politico: Pio La Torre, a sua volta assassinato, esattamente trent’anni fa, a causa delle sue denunce e del suo impegno politico.

Non potendo disporre di una maggioranza solida, l’auspicio è che Crocetta riesca comunque a muoversi nel solco di queste due straordinarie figure, rendendo l’omaggio che merita anche ad un altro martire di questa terra travagliata: Placido Rizzotto, il sindacalista ucciso dalla mafia nel 1948, la cui memoria è stata finalmente recuperata dopo sessantaquattro anni di oblio. Conoscendo la sua storia e la sua missione civile in nome della legalità, non abbiamo dubbi che saprà onorare degnamente la migliore tradizione del progressismo italiano, che è tanto più forte quanto più riesce ad aprirsi, ad allargare i propri confini e, di conseguenza, anche i propri orizzonti ed il proprio raggio d’azione.
Non c’è dubbio, però, che dalla Sicilia sia giunto pure un altro segnale, forse ancora più potente dell’affermazione del Movimento 5 Stelle: un’astensione superiore al cinquanta per cento, a dimostrazione di un distacco tra la politica e i cittadini che, come ha scritto Federico Geremicca su “La Stampa”, va ben al di là di “quel che si sarebbe potuto definire <<l’ultimo allarme>>”. Geremicca arriva addirittura a scrivere che “piuttosto che a un ultimo allarme, il voto siciliano di ieri assomiglia assai più alla prima vera fotografia di un Paese dal sistema politico definitivamente collassato”.

Non sappiamo se abbia ragione o meno, e sinceramente ci auguriamo di no; fatto sta che questa è l’impressione che hanno avuto molti commentatori, tralasciando i “tifosi” del qualunquismo tout court che ormai non fanno più testo.
Un’interpretazione altrettanto interessante l’ha fornita su “la Repubblica” il professor Ilvo Diamanti, affermando: “Per questo il livello raggiunto dall’astensione in queste elezioni regionali non va considerato, necessariamente, una fuga dalla democrazia. Ma, semmai, un messaggio. Un indice che misura – e al tempo stesso denuncia – la riduzione del consenso di cui dispongono gli attori politici della Seconda Repubblica. Soprattutto, ma non solo, quelli che l’hanno “generata”. Per iniziativa e su ispirazione di Silvio Berlusconi. Il voto di chi non vota, per questo, va preso sul serio. Potrebbe superare i confini della Sicilia. In fondo, attualmente oltre 4 elettori su 10, a livello nazionale, non sanno per chi votare”. E poi, al termine dell’analisi, rivolge un invito ad un sistema se non del tutto collassato, comunque profondamente scosso dall’esito del test siciliano: “Gli attori politici – i partiti e i loro leader – debbono offrire loro delle buone ragioni. Anzitutto: per votare”.

Un messaggio e un invito, quindi, un’occasione unica per le forze politiche di comprendere gli errori fin qui commessi ed evitare di ripeterli in futuro, a cominciare dalle candidature, che dovranno essere scevre da inquisiti e condannati, e dai programmi, che dovranno essere privi di qualunque contenuto demagogico e all’altezza della tremenda crisi che il Paese sta attraversando.
A pensarci bene, è davvero un’occasione irripetibile per la politica di rimettersi in carreggiata e di riconciliarsi con il popolo, che le ha inviato l’ennesimo segnale di sofferenza e di rifiuto del percorso finora seguito. L’importante è che tutti si rendono conto che quest’occasione è anche l’ultima prima del diluvio.


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