«Contro la corruzione una politica più forte»

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di Lorenzo Frigerio
“Mafie e corruzione in Italia: quali risposte possibili”: il titolo dell’evento speciale organizzato da Libera e dalle sette università di Milano, nell’ambito del percorso seminariale interuniversitario “Per una cultura della legalità”, contiene in sé sia la denuncia della situazione attuale sia l’indicazione della sola possibile uscita, consistente nell’impegno a ricercare le strade per affrancare il nostro Paese dalla morsa dell’illegalità. Visto il contesto individuato per l’importante iniziativa – l’aula magna dell’Università Statale di Milano – l’approfondimento di ieri ha assunto i contorni di una vera e propria lezione. Docenti d’eccezione don Luigi Ciotti, presidente di Libera, Gian Antonio Stella, editorialista di punta del Corriere della Sera e il professor Alberto Vannucci, autore del recente saggio “Atlante della corruzione” (Edizioni Gruppo Abele, 2012).

 Vannucci: «Contro la corruzione efficaci barriere nella società»

Il primo a prendere la parola è proprio Vannucci che strappa subito un sorriso ai tanti presenti, giovani e adulti, spiegando come l’Italia sia un paese di straordinarie opportunità, in quanto la corruzione nasce da un processo di selezione darwiniana che premia una meritocrazia alla rovescia, dove a prevalere è il più furbo e il più intrallazzatore e non chi ha titoli e competenze per assumere ruoli e responsabilità. La corruzione non solo produce molte vittime, ma anche opere pubbliche inutili e, viceversa, provoca la cancellazione di servizi e sistemi che si risolvono in una negazione dei diritti previsti dalla Costituzione. I dati snocciolati in rapida sequenza da Vannucci tolgono il respiro. Nelle regioni con maggiore corruzione si conta anche un maggior numero di “morti bianche” nei cantieri. Ogni mille euro rubati dalla corruzione, solo uno viene recuperato. I 60 miliardi stimati dalla Corte dei Conti diventano un buco difficile da colmare se la situazione è così danneggiata. Sebbene le statistiche giudiziarie restituiscano l’idea che la situazione sia sotto controllo apparentemente, nella realtà va detto che la corruzione e i reati connessi sono difficili da accertare, in mancanza di testimoni disposti a collaborare con la giustizia e di leggi utili allo scopo: sono poche centinaia i reati accertati in tutta Italia e poche migliaia i condannati nell’arco temporale degli ultimi vent’anni, nonostante la stagione repentinamente chiusa di Tangentopoli. La corruzione, per il docente dell’Università di Pisa, è più forte quando vi è un sistema di rendite create dallo Stato, al di fuori di ogni prezzo di mercato, che si basa anche su una forte discrezionalità di politici e funzionari. Un basso livello di trasparenza nei meccanismi e nei regolamenti e una minore efficacia e severità di controlli completano l’opera, aggravando i guasti. L’esempio viene dalla comparazione di costi e tempi delle opere pubbliche in paesi diversi: il passante ferroviario di Milano è costato il doppio di quello di Zurigo e ha richiesto più del doppio del tempo per la sua realizzazione. Il nesso tra corruzione e inefficienza è quindi molto forte. Vannucci ricorda le rilevazioni di Transparency International – Italia 69esima su 182 paesi per livello di corruzione percepita, quartultima a livello europeo – e anche quelle di Eurostat – almeno il 12% dei cittadini italiani si è sentita chiedere una tangente – per arrivare alla terribile conclusione che è evidente come la sanzione penale sia ormai del tutto inefficace. La corruzione di fatto è  depenalizzata e ne consegue che la sindrome di impunità di tutta una serie di soggetti che si muovono nel pubblico, ma anche nel privato è ben sviluppata. Sfuma l’interesse collettivo e si afferma la logica dei clan, ecco perché la criminalità organizzata è l’attore sociale migliore per garantire patti e transazioni fuori dalle regole del mercato. «La legge che si approva in queste ore – conclude Vannucci – è un “brodino caldo” che rischia di peggiorare la situazione per il malato. Efficaci barriere contro la corruzione vanno costruite dal basso e non bisogna perdere la speranza, perché i segnali di riscossa nella pubblica opinione non mancano e l’impegno di realtà come Libera e Avviso Pubblico sono un valido esempio».

Stella: «E meno male che le mafie erano sotto controllo..»

Il microfono passa quindi a Gian Antonio Stella che esordisce evocando una dichiarazione di Giuliano Ferrara – un personaggio “super partes” lo definisce il giornalista, suscitando l’ilarità dei presenti – per cui «per fare politica devi essere ricattabile». Questa affermazione, secondo l’editorialista del Corriere della Sera spiega l’humus culturale della politica italiana più di tante dotte dissertazioni sulla crisi della politica: se la selezione della classe dirigente viene fatta con il criterio della ricattabilità della stessa, gli scandali e le malversazioni che stanno emergendo in questi ultimi mesi sono una logica conseguenza. E non ci si deve neppure scandalizzare, come ha fatto l’ex ministro dell’Interno Maroni, se si parla di presenze criminali nelle regioni del Nord. Basti pensare a quanto dichiarato ai microfoni di “Presa diretta”, la trasmissione di Riccardo Iacona, da Rocco Varacalli, uno dei pochi collaboratori di giustizia che vengono dalla ‘ndrangheta: «La ‘ndrangheta ha bisogno della politica, la politica ha bisogno della ‘ndrangheta. A loro i voti, a noi i cantieri». La conferma dell’avvenuta infiltrazione Stella la trova nelle parole di un altro collaboratore, proveniente dalle file dei casalesi che ha dichiarato: «Abbiamo scelto di concentrare le nostre attività nel Nordest, e in particolare a Padova, perché qui il tessuto economico non è così onesto. Il margine di guadagno era buono, perché la gente non ha voglia di pagare le tasse». E pensare, ricorda Stella, anche qui facendo sorridere amaramente la platea, che l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi aveva parlato di una «criminalità organizzata sotto controllo, visto che il 90% dei mafiosi è in carcere». Stella ora è un fiume in piena, prosegue con una fuoco di fila di citazioni, chiamando in causa il pm Scarpinato e il generale dalla Chiesa, per sottolineare come la colonizzazione del nord da parte della criminalità mafiosa non sia un fatto di oggi, ma un dato strutturale, tanto che non si può parlarne in termini di emergenza. Le mafie si muovono a loro agio sul territorio, come testimoniato dal summit mafioso che si tenne nel 2009 a Paderno Dugnano, alle porte di Milano, in un circolo Arci intitolato a Falcone e Borsellino, in segno di spregio e in assoluta tranquillità: per Stella quindi l’affermazione dello storico Enzo Ciconte, secondo il quale la ‘ndrangheta ha conteso in questi anni il controllo del territorio alla Lega Nord, non è assolutamente fuori luogo ed è inutile indignarsi per lesa maestà. «La situazione è ormai degenerata – chiude Stella – ma dobbiamo impegnarci tutti se vogliamo uscirne. Dobbiamo alzare un fuoco di sbarramento e deve essere totale e assoluto contro ogni tentativo di penetrazione criminale nelle regioni del Nord».

Ciotti: «Ci vogliono meno leggi e più legge!»

Dopo quasi due ore, l’ultimo ad intervenire è Luigi Ciotti. Il sacerdote, da anni guida dell’associazione Libera, lamenta innanzitutto il “furto delle parole”: «Tutti parlano di legalità e i primi a calpestarla sono proprio quelli che a parole sono pronti a difenderla. Non ne troverete uno che non dica di essere contro le mafie e la corruzione. Allora perché dobbiamo confrontarci da oltre quattrocento anni con la camorra, da oltre duecento anni con Cosa Nostra e da oltre cento anni con la ‘ndranghetà? Possibile che non si riesca a debellare questi fenomeni?». Il problema più grave, per il presidente di Libera, non è chi fa il male, come le mafie, ma chi guarda è  non fa nulla. Ecco perché la crisi attuale può essere definito un “coma etico”, con “cittadini ad intermittenza”, perché, ricorda Ciotti «ormai non basta commuoversi, ma occorre muoversi». Altra espressione abusata è quella di “società civile”: la democrazia si fonda sulla giustizia e sulla dignità umana, ma non sta in piedi, ammonisce il sacerdote, se non c’è la responsabilità. Occorre quindi una profonda rigenerazione morale, avendo come bussola il bene comune e come riferimento la Costituzione, «il vero primo testo antimafia» nelle dichiarazioni del presidente di Libera, perché al centro ha la persona umana e i suoi diritti. La politica torni ad essere al servizio del bene comune e non produca ulteriori guasti. Quello che serve è un rinnovamento profondo delle coscienze; prima di ogni riforma legislativa e costituzionale deve innanzitutto cambiare l’approccio alla politica da parte degli addetti ai lavori ma anche dei cittadini, chiamati a fare la loro parte fino in fondo, senza delegare nessuno. E sulle risposte possibili alla situazione attuale, che vede mafie e corruzione essere due facce della stessa medaglia dell’illegalità, Don Luigi non ha dubbi e le individua in conclusione del suo intervento, applaudito a lungo: «Facciamo meno parole e più fatti. Dobbiamo unire ciò che le mafie dividono e serve innanzitutto l’impegno di tutti, uno sforzo di comprensione che non si accontenti di saperi di seconda mano. È la cultura che da la sveglia alle coscienze. Servono continuità, condivisione e corresponsabilità. Sono queste le parole che dobbiamo adottare per fare di più e meglio. La lotta alle mafie e alla corruzione non deve essere solo “difesa da”, ma soprattutto “promozione di” e per questo sollecitiamo la politica a fare la propria parte ma non trascuriamo noi di fare la nostra».

Continua l’impegno di Libera e degli atenei milanesi

L’anno scorso all’evento speciale organizzato da Libera e dalle sette università di Milano, nell’ambito del percorso “Per una cultura della legalità”, l’aula magna della Statale si era riempita in ogni ordine di posti, per un migliaio circa di presenze stimate e una selva di microfoni e taccuini ad uso dei molti giornalisti accorsi. Allora il presidente di Libera Don Luigi Ciotti si era confrontato con il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi sulle presenze delle mafie nel nord Italia e il dibattito tra i due era stato ripreso successivamente per la chiarezza dei contenuti e l’allarme lanciato sulla colonizzazione in atto nelle regioni settentrionali da parte del crimine organizzato.

Ieri, a distanza di oltre uno anno, il nuovo appuntamento speciale della seconda annualità del ciclo di seminari interuniversitari, ha registrato una influenza decisamente minore e una totale assenza dei mezzi di comunicazione. Ciò nonostante, essere riusciti a portare oltre trecento persone nell’ora di pranzo e tenerle inchiodate alle poltrone per oltre due ore a sentire parlare di mafie e corruzione è sicuramente un successo che, anche se snobbato dai media, consente a Libera e alle università milanesi di continuare sulla strada intrapresa. Proprio la continuità è una delle risposte possibili che è stata data ieri dai tre relatori. I prossimi appuntamenti in calendario sono due. Il primo è previsto nel pomeriggio dell’8 novembre alla Università di Milano Bicocca dove si parlerà di “Donne e mafia” con Tiziana Vettor (Bicocca), Ombretta Ingrascì (Università Cattolica di Milano), Monica Massari (Università Federico II di Napoli) e Antonella Pasculli (Università di Bari). Nel corso dell’incontro sarà proiettato il documentario “Nella Casa di Borgo San Nicola. Con le donne, nel carcere” di Caterina Gerardi. Toccherà poi alla Bocconi, dove si tornerà a parlare di criminalità organizzata e amministrazioni locali con Michele Polo e Fabio Amatucci, docenti dell’ateneo milanese e Alberto Vannucci, chiamato questa volta a declinare le sue analisi sulla corruzione in favore di un uditorio maggiormente avvezzo agli studi di carattere economico.

www.liberainformazione.org


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