Caso Rende, l’altro volto di una Calabria da cambiare

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Dopo l’operazione “Terminator” inviata la Commissione d’accesso nel Comune cosentino
di Anna Foti
La nomina della Commissione d’accesso al comune di Rende (CS), disposta dal prefetto di Cosenza, Raffaele Cannizzaro, su delega del ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, rappresenta l’epilogo, che già si ventilava nei giorni scorsi e che è stato al centro della polemica tra il Pdl che riteneva necessario il provvedimento ed il Pd che invece difendeva l’operato dell’amministrazione di centrosinistra, del cosiddetto “Caso Rende”. La settimana scorsa, nell’ambito dell’operazione denominata “Terminator”,  sono stati arrestati infatti due consiglieri provinciali del Pd di Cosenza, l’ex sindaco di Rende Umberto Bernaudo, e l’ex assessore comunale ai Lavori Pubblici di Rende e adesso ex assessore provinciale alla Pubblica Istruzione di Cosenza Pietro Paolo Ruffolo, dimessosi dalla carica di consigliere provinciale dopo essere stato nominato assessore, incarico dal quale si era successivamente ancora autosospeso per via dell’informazione di garanzia per il reato di usura aggravata dalle modalita’ mafiose. Qualche giorno dopo l’arresto le formali dimissioni da assessore sul tavolo del presidente della Provincia di Cosenza Mario Oliverio.

Entrambi esponenti del Pd, adesso agli arresti domiciliari e sospesi dal partito, erano già indagati in quanto sindaco (Bernaudo) ed assessore (Ruffolo) al comune di Rende, per concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione e voto di scambio. Rigettata, almeno per il momento, dal gip Livio Sabatini, l’aggravante delle modalità mafiose formulata dai sostituti procuratori della Dda di Catanzaro, Pierpaolo Bruni e Carlo Villani. Interrogati nei giorni scorsi dal gip, assistiti dagli avvocati Francesco Calabrò, Sabato Romano, Franz Caruso, hanno respinto ogni accusa. Arrestato anche il boss Michele Di Puppo, favorito dai due politici e ritenuto elemento di spicco della ndrina Lanzino, braccio destro di Ettore Lanzino, latitante fino a qualche giorno fa.

Ricercato da quattro anni, inserito tra i cento latitanti più pericolosi d’Italia, è stato infatti arrestato anche lui, il giorno dopo rispetto a Bernaudo e Ruffolo, Ettore Lanzino 57 anni, considerato l’ultimo boss della ‘ndrangheta ed il capo indiscusso della ‘ndrina che opera a Cosenza e Rende. Catturato dai carabinieri del comando provinciale di Cosenza e dal Ros con il contributo dei «Cacciatori» di Calabria, Lanzino si nascondeva in un elegante attico a Roges proprio a Rende, alle porte di Cosenza. Su Ettore Lanzino pende una condanna all’ergastolo inflitta nell’aprile scorso dalla Corte d’Assise di Cosenza perché ritenuto il mandante, con Domenico Cicero, degli omicidi di Marcello Calvano e Vittorio Marchio, trucidati nel 1999, nell’ambito della guerra di mafia per la spartizione degli appalti pubblici nell’area del Tirreno casentino.

Questi alcuni dei tasselli del cosiddetto “Caso Rende” che hanno determinato la necessità, secondo il Viminale, di inviare un’altra commissione di accesso in Calabria, nel comune cosentino di Rende. Solo qualche giorno prima, la stessa decisione aveva investito anche il comune di Serra San Bruno, in provincia di Vibo Valentia (commissari Emanuela Greco, Viceprefetto in servizio presso la Prefettura di Vibo Valentia, Giovanni Gigliotti, Vice Questore Aggiunto della Polizia di Stato, in servizio presso la Questura di Vibo Valentia, Capitano Stefano Esposito Vangone, Comandante della Compagnia Carabinieri di Serra San Bruno). La Commissione d’accesso nel Comune di Rende, si afferma nella nota della Prefettura, ”e’ stata incaricata di accertare la sussistenza di eventuali tentativi d’infiltrazione mafiosa nell’Amministrazione comunale anche per soddisfare l’esigenza della massima trasparenza”. La sua missione avrà durata trimestrale, prorogabile di altri tre mesi. La Commissione d’accesso e’ composta da Francesco Cappetta, viceprefetto; Antonio Gulli’, viceprefetto aggiunto, e da Domenico Giordano, dirigente della prefettura di Cosenza.

Al centro delle indagini della Dda di Catanzaro che hanno portato agli arresti, l’attività di una cooperativa di servizi promossa dal Comune di Rende cui sarebbero state imposte delle assunzioni di affiliati alla ‘ndrangheta e loro congiunti in cambio di sostegno elettorale, anche in occasione delle amministrative del 2009. Tra i 63 dipendenti della cooperativa “Rende 200”, cooperativa controllata dal comune di Rende che si occupava di pulizie e lavori edili, che poi divennero 171 (assunti per chiamata diretta) nella successiva “Rende servizi srl, adesso il liquidazione, c’erano anche Michele Di Puppo, braccio destro del boss Ettore Lanzino e lo stesso Lanzino latitante fino allo scorso 16 novembre e ritenuto capo della ‘ndrangheta cosentina. Per la creazione della società, i cui dipendenti – tra cui Michele Di Puppo – venivano impiegati anche per lo svolgimento di campagna elettorale, fu anche acceso un mutuo di otto milioni di euro per il quale un immobile di proprietà comunale costituì la garanzia. Di “un accordo elettorale politico mafioso” parlano gli inquirenti, secondo i quali i due politici, l’ex primo cittadino Umberto Bernaudo e l’ex assessore provinciale ai lavori pubblici Ruffolo avrebbero favorito il boss Michele Di Puppo, 48 anni, anche lui arrestato e ritenuto esponente di primo piano della potente cosca Lanzino di Cosenza, che avrebbe ripagato le assunzioni con l’appoggio elettorale. Secondo gli inquirenti, sarebbe stato dipendente anche il latitante Ettore Lanzino, mentre viveva negli agi proprio alle porte di Cosenza.

Intanto ai tristi primati di Calabria e del suo capoluogo di provincia reggino in tema di enti sciolti per mafia, si aggiunge anche il numero, in crescita in Calabria, degli enti presso cui il Viminale ha ravvisato la necessità di accertare eventuali infiltrazioni mafiose. Rende nel cosentino segue infatti Taurianova e Montebello Jonico, in provincia di Reggio, e Gerocarne e San Calogero in provincia di Vibo Valentia.

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