Il Senatur, il Trota e la commedia all’italiana

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di Enzo Costa
Innanzitutto mi chiedo: ma i famosi commentatori terzisti? Non quelli padani, che si sa, un minimo di faziosità avrebbero potuto averla. Dico quelli super partes, che da una vita, o perlomeno tre  legislature, ci avevano spiegato che la forza della Lega risiedeva nel suo essere attaccata, abbarbicata, incollata al territorio. Ecco: non li aveva mai sfiorati il pensiero che certe aderenze assolute a (pretesi) luoghi geografici avrebbero potuto comportare anche l’assorbimento di veleni e sostanze inquinanti del sottosuolo?

Fuor di metafora geografico-botanica, davvero non si poteva cogliere in certa retorica etno-antropologica il rischio di istigare ai peggiori istinti predatori, tipici dell’ “italianitudine”? Sì, perché quel pasticciaccio brutto di via Bellerio, in realtà, si configura come l’illieto fine di un’ordinaria storia di familismo amorale in salsa padana. Una versione fintamente secessionistica, all’insegna com’è di un continuismo retrogrado, dell’italico “tengo famiglia” formulato, in tempi (dis)simili a questi, da Longanesi.

Qui siamo al “tengo cerchio magico”, ossia ad una forma allargata e tribale del vecchio nucleo familiare. La fantomatica Padania e la forza politica che la incarna come sintesi estrema e rudimentale dell’eterna triste Italietta. Quella della furbizia privata aliena all’etica pubblica, del privilegio domestico nemico delle norme civiche, col condimento di razzismi feroci e ottusi, e millanterie assortite da bar. Un tristemente tipico partitello ad personam, guidato con furore patriarcale, in cui le carriere, prima ancora dei enari dei “rimborsi elettorali”, si acquisiscono per via ereditaria. L’Umberto e il Trota, Belsito e Rosy Mauro (e boyfriend vocalist di Cooly Noody) sono le ultime maschere grottesche della solita infinita commedia all’italiana.
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