Antigone nella città

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di Nella Condorelli
“Le donne e il governo del Paese” è il titolo del convegno nazionale che la Fondazione Nilde Iotti promuove a Roma, il 26 e 27 aprile prossimi, con l’Alto patronato del presidente della Repubblica.
Un tema al centro del dibattito del movimento politico delle donne alle prese con le tutte questioni della democrazia paritaria, un tema che traversa l’attualità più drammatica del nostro Paese, dalla crisi economica e del lavoro alla crisi della politica.
Un tema, infine, che spinge urgentemente alla definizione di quale agenda politica e quali priorità le donne vogliono mettere in campo per il buon governo della cosa pubblica agito sulle fondamenta della “differenza”.
Conversazione con Livia Turco, presidente della Fondazione Nilde Iotti, sulle donne e il governo del Paese, partendo dalla rappresentazione plastica dell’Italia al femminile del terzo Millennio, paese in chiaroscuro, che riflette nella sfera del rapporto donne e politica le sue tante contraddizioni. Se è vero infatti che una pari rappresentanza uomo – donna è ancora lungi dall’essere una realtà, è anche vero che la scena pubblica nazionale, i luoghi dove si governa la vita ed il futuro dei cittadini e delle cittadine sono oggi in mano a donne.

Che accade dunque in questa nostra Italia? Che ne pensa la deputata Livia Turco, protagonista del movimento politico delle donne, presidente nel 1995 della Commissione Nazionale Parità, e più volte ministra?

Livia Turco. Accade, è vero, che la scena politica italiana sia governata dalle donne: abbiamo una segretaria generale nella Cgil, una presidente in Confindustria, e tre donne ministre nel Governo. Penso che si tratti di una rottura simbolica importante, alla quale occorra dare valore. A me ha dato molta forza,  e questo non  significa che io condivida, mi identifichi con le posizioni che sono state assunte, che non abbia critiche da fare, ma il fatto che tante donne ricoprano ruoli così autorevoli è una rottura simbolica cui dare valore. Come punto di non ritorno. Una declinazione della normalità democratica. Appartiene infatti alla normalità democratica il 50% delle donne al governo, il 50% delle donne nelle istituzioni. Credo che la presenza femminile autorevole nella scena pubblica italiana legittimi pienamente il fatto che noi diciamo “è normale”, senza tanti arzigogoli.

Poi, c’è una parola che sento molto forte rispetto alle donne nel governo del Paese, ed è “responsabilità”. Le donne devono esercitare sino in fondo la loro responsabilità politica, quindi mettersi in gioco, mettere in gioco competenze, abilità; devono sapere che governare è anche molto faticoso, che bisogna assumersi degli oneri. Dunque per me, donne nel governo del paese significa esserci, assumere una responsabilità, e fare un grande gioco di squadra.

Quel che conta moltissimo è la determinazione soggettiva: non possiamo dimenticare che siamo un paese con una storia segnata da un pensiero femminile che tante volte ha parlato di estraneità delle donne nei confronti del potere, che lo ha guardato con diffidenza questo potere. Dire oggi: per cambiarlo bisogna intanto esserci, mi pare un dato di grande maturità. Quindi, bisogna esserci, con un forte gioco di squadra, definendo regole che ci aiutino, e bisogna esserci per imporre un’agenda. Per fare che cosa.

Non c’è dubbio che il primo ostacolo, la prima grande sfida in questo esserci delle donne, sia il degrado attuale della politica. Come discuterne, come si ricompone la frattura tra cittadini/e e politica in un’ottica di genere?

Per me, donna politica che ha vissuto dall’interno il degrado della politica, che lo ha vissuto e lo soffre. rimontare questo degrado significa una cosa molto precisa: ricostruire il senso di una politica popolare, partecipata. Una politica che sia delle persone, con le persone. Va rifondata in qualche modo la dimensione pubblica, va rifondato anche il senso della rappresentanza  politica.
Penso che le donne abbiano sicuramente quella sensibilità, come elemento che appartiene alla storia del genere femminile, che considero oggi assolutamente preziosa: parlo della dimensione della relazione umana. E’ un segno fondamentale. Rifondare la politica, ridargli senso passa attraverso la credibilità della persona che fa politica; chi ti sta di fronte, guarda l’esempio che tu dai, il tuo comportamento personale, la tua credibilità di persona, e conta moltissimo la qualità della relazione umana che si riesce a costruire.

Se mi chiedi che cosa mi porto dietro dell’esperienza di governo, ti rispondo senza esitazioni che mi porto dietro il tempo che ho dedicato ad ascoltare le persone, il tempo che ho dedicato a costruire una relazione umana, quelle persone che oggi ritrovo, che mi dicono: il tempo che lei ci ha dedicato! Un tempo ancora più importante di quello delle leggi. Quindi, la rifondazione della politica, dell’istituzione politica, passa attraverso la coerenza personale e attraverso la qualità della relazione umana. Se devo nominare una parola che considero cruciale in questo momento, dico: condividere.

Condividere, costruire reti di relazione, darsi forza, sono capisaldi della pratica politica del movimento delle donne. Da dove partire, come agire queste pratiche per incidere sull’esistente in questo tempo tanto tormentato della politica?   

Incidere è il problema di sempre. Per incidere bisogna fare un gioco di squadra, e bisogna avere le idee chiare anche su come modifichi le regole. Oltre al senso civico ed oltre a far vivere la dimensione della politica come condivisione e come relazione umana, la politica deve risolvere i problemi.
E’ la grande differenza tra politica popolare e populismo: la politica popolare è quella che comunque rende protagoniste le persone, le chiama a risolvere i problemi, la politica populista è quella che agita i problemi, come vediamo in questi giorni.
Quindi, un aspetto importantissimo della politica è quello dell’efficacia. Come si costruisce una politica efficace. Le donne non devono fare l’errore del passato quando non si sono misurate con la riforma delle regole istituzionali e con l’agenda politica. Cioè, come le politiche sono efficaci, e quale agenda politica. Oggi, la questione assolutamente dirimente per rifondare la rappresentanza e per ricostruire una politica popolare efficace è la riforma dei partiti. Se devo indicare un priorità, quella è sicuramente l’applicazione dell’articolo 49 della Costituzione e l’emanazione di una legge quadro sui partiti che li obblighi ad avere degli standard di vita democratica interna, che li obblighi alla trasparenza, che li obblighi alla democraticità.
L’altra regola imprescindibile è la riforma della legge elettorale per poter scegliere candidati e candidate. Queste sono per me le due strade obbligate, ma c’è anche bisogno di avere governi che abbiano gli strumenti per governare, quindi è necessaria la riforma dei regolamenti parlamentari.
Sto parlando di un pacchetto fondamentale di riforme. Penso che in questa fase le donne debbano impegnarsi per il riequilibrio della rappresentanza nell’insieme della riforma della politica. Che debbano essere le protagoniste di una rinascita della politica, con la parola d’ordine della sobrietà e dell’efficacia. Ne abbiamo bisogno.

E sul finanziamento pubblico dei partiti? Si o no?

Un finanziamento pubblico dei partiti va subordinato a quanto ho appena detto. Non c’è dubbio che oggi ci sia bisogno di una politica sobria; io sono per il finanziamento pubblico perchè, come ha detto Nadia Urbinati in un bell’articolo recente, non può essere che gli interessi economici incidano direttamente sull’agenda politica.
Se sono gli interessi economici quelli che finanziano la politica, è chiaro che questi sono poi quelli che incidono sull’agenda, come abbiamo visto con il conflitto d’interesse. Però c’è bisogno di trovare anche meccanismi nuovi di finanziamento, e di questo discuteremo al convegno.
Personalmente, credo in un finanziamento pubblico subordinato all’attuazione della vita democratica interna, e poi in un azionariato popolare.

Parliamo del convegno, il secondo appuntamento nazionale della Fondazione Iotti, con l’Alto patronato del presidente della Repubblica. Vedo un fitto programma di lavoro, due giorni di discussione tra politiche, filosofe, politologhe, giornaliste,  con interventi che toccano molti temi politici. Quali aspettative? Quali obbiettivi futuri per la Fondazione?

Il nostro convegno vuole essere l’occasione per esprimere la forza delle donne e per dire che le donne al governo del Paese non è una rivendicazione ma un’assunzione di responsabilità.
Vogliamo mandare tre messaggi forti. Il primo: un grazie alle donne che oggi sono sulla scena pubblica e che ci hanno dato un prova di forza; quindi, grazie a Susanna Camusso, ad Emma Marcegaglia, alle tre donne ministro. Mi sento di dirglielo. S
econdo, vogliamo contrastare il degrado della politica, quindi le donne devono essere protagoniste di una riforma della politica che è riforma delle regole e non solo del riequilibrio della rappresentanza. Vogliamo discutere, le prime due leggi che metterei nell’agenda politica sono riforma dei partiti e riforma della legge elettorale.

Terzo messaggio forte: l’agenda politica. Che le donne governino il paese vuol dire buona e piena occupazione femminile, servizi sociali, sono questi i temi dai quali si parte per lo sviluppo e la crescita. Oggi questa inversione di tendenza non c’è ancora; c’è bisogno che la risorsa, l’energia delle donne sia pienamente utilizzata, altrimenti non se ne esce. Governare il paese vuol dire parlare anche di temi difficili che adesso l’agenda politica ha accantonato, per esempio la bioetica; non sono questioni che si affrontano quando non c’è niente da fare, sono temi dirimenti. Non si possono rinviare soltanto perché scomodi o farne oggetto di scontro politico. Una buona politica è quella che affronta tali questioni, noi dedicheremo una sessione proprio a questo: come si affrontano le decisioni sui temi etici.

Così come la buona politica è quella che sa che l’Italia del Terzo Millennio è l’Italia della convivenza: come si costruisce la convivenza, come si convive tra culture diverse è l’altro tema irrinunciabile dell’agenda politica.
Sugli obbiettivi: la Fondazione Nilde Iotti è una fondazione di volontarie, vive di lavoro volontario, e di finanziamenti che sono quelli dei cittadini. Ci tengo a dirlo perché un altro capitolo dell’opacità della politica ha riguardato proprio le fondazioni. Noi abbiamo raccolto il patrimonio due anni fa, facendo una cena con il presidente della Repubblica che ci ha dato il suo sostegno. Delle risorse allora raccolte, duecentomila euro, 150mila le abbiamo impegnate quale patrimonio della fondazione come prevede la legge, 50mila ci son rimaste per l’attività politica che stiamo portando avanti. Pubblicheremo sul sito il nostro bilancio, e proseguiremo così sperando di trovare altre risorse ed altri donatori.

http://www.womeninthecity.it


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