“Giuseppe non merita neanche un’inchiesta?” Intervista a Lucia Uva

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Lucia corre per salire sul treno che da Varese la porta a Roma davanti all’imponente palazzo della suprema Corte dove manifesta, chiede e ottiene di parlare con il procuratore capo della Cassazione. Non si rassegna Lucia che continua a correre perché mancano trecento giorni alla prescrizione del procedimento per la morte di suo fratello Giuseppe avvenuta il 14 giugno. La corsa di Lucia non si arresta mai perché la padrona di casa ogni mese attende l’affitto e i processi costano molto, anche da un punto di vista economico. Ma il bello deve ancora venire perché Lucia Uva da vittima è diventata colpevole.

Come ci si sente da indagata insieme ai giornalisti delle Iene e del documentario su suo fratello?
A volte travolta dallo sconforto altre più battagliera. Terrorizzata che il processo giunga alla prescrizione. Mio fratello è stato portato a forza dentro quella caserma senza alcun legittimo motivo. Lo ha detto il Giudice di Varese che ha ordinato alla Procura di indagare su quella notte trascorsa in caserma senza alcun verbale di arresto o fermo e su quel trattamento sanitario obbligatorio quantomeno dubbio. Il corpo di Giuseppe era devastato da traumi, indossava un pannolone che doveva tamponare il sangue usciva dal suo ano e i testicoli erano tumefatti. Aveva 78 schizzi di sangue su tutti gli indumenti e una macchia di 16 cm sul cavallo dei calzoni. Non è legittimo che io sappia cosa sia accaduto quella notte? Come con Aldrovandi anche voi contestate la modalità delle indagini? Il magistrato sa benissimo che Giuseppe è morto per il terribile stress sopportato dentro quella caserma. È evidente che ad un certo punto i suoi pantaloni sono stati abbassati. Gli stessi carabinieri descrivono le gambe di mio fratello come se le avessero viste nude. Ma Giuseppe quando arrivò al pronto soccorso i pantaloni li indossava eccome. Perché le mutande sono andate perdute?

Da fascicolo aperto sulla morte di un uomo a procedimento a vostro carico quindi?
Esatto. Nella nostra richiesta di avocazione al procuratore Generale della Corte d’Appello di Milano, rigettata ben 4 volte, abbiamo fatto presente come il pm titolare dell’inchiesta non avesse ottemperato, dichiarando anzi espressamente di non volerlo fare, all’ordinanza del Tribunale che imponeva di investigare sulla morte di Giuseppe chiedendo l’ archiviazione per i due carabinieri e i sei poliziotti e rinviando a giudizio me.

Gli amici di Giuseppe dicono che avesse avuto una relazione con la moglie di un carabiniere.
Non so se questo sia vero, ma so che mio fratello all’epoca aveva un lavoro, una casa ed era da tutti conosciuto come persona mite e generosa.

Sua figlia Angela ha sporto denuncia contro lo stesso pm di Varese per favoreggiamento e abuso in atti d’ufficio.
La denuncia è stata presentata nel mese di Aprile alla Procura di Brescia sulla base del fatto che il mancato esercizio dell’azione penale su una notizia di reato, per un periodo tale da provocarne la prescrizione garantirebbe l’impunità degli eventuali colpevoli. Noi contestiamo anche il fatto che i titolari dell’inchiesta siano giunti a dare valutazioni sulle abitudini di vita di Giuseppe definendolo addirittura senza fissa dimora. Da cittadina ritengo che nessuna attività svolta dai magistrati possa avere il diritto di togliere la dignità di un uomo. Confido nei magistrati di quella Procura.

Lei come Patrizia Moretti Aldrovandi e Domenica Ferrulli vi battete per un percorso civile più che politico.
Esattamente così. A noi non interessa schierarci da una parte o dall’altra della barricata. Io sono una donna semplice, tanto che vengo accusata di emozionarmi troppo quando parlo in pubblico e magari di non sapere scegliere le parole giuste, ma poco importa. Io chiedo giustizia proprio perché sono solo una cittadina. Sono una sorella, Patrizia era madre di Federico e Domenica figlia di Michele, gente comune che si è ritrovata scaraventata in un incubo che non sembra avere mai fine. Ne sanno qualcosa il papà e la mamma di Stefano Cucchi.

Non ha avuto vergogna neppure di chiedere aiuto economico…
Faccio la donna di servizio e accudisco una signora anziana. Per mantenere una famiglia cosa devo fare, rubare? Non si perde la dignità raccontando la verità. Molte famiglie devono vendere la casa per sostenere le spese processuali. Ogni volta che ritiriamo valige di carte e registrazioni sono migliaia di euro che sborsiamo. Il mio avvocato lavora senza farsi pagare. Devo ringraziare tantissime persone assolutamente sconosciute come nel caso della raccolta fondi lanciata ad aprile da Articolo21. Importanti dimostrazioni di solidarietà come quella del professor Luigi Manconi anche se so che lui, come me teme la prescrizione.

* da “Il Fatto Quotidiano”


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