In Basilicata, terra che custodisce ancora la memoria del confino di Carlo Levi ad Aliano, le spoglie dello scrittore torinese rappresentano un simbolo potente contro l’oppressione e per la dignità umana. Eppure, la recente visita della direttrice dell’Ufficio nazionale israeliano del Turismo Kalanit Goren, accompagnata dal sindaco Luigi DeLorenzo, in posa sulla tomba e davanti al monumento di Levi, ha sollevato sgomento e indignazione.
La presidente dell’ANPI provinciale di Potenza, Maria Rosaria D’Anzi, ha definito “indegne” le parole del primo cittadino, che ha parlato di una “fruttuosa collaborazione per rafforzare i legami culturali e promuovere il turismo”. Il gesto, già di per sé discutibile, diventa eticamente insostenibile se inserito nel contesto attuale: mentre in Palestina si consumano centinaia di migliaia di morti civili, carestie indotte e l’eliminazione sistematica di giornalisti, la scelta di presentare l’incontro come un momento di promozione turistica appare quanto meno fuori luogo.
In pieno genocidio palestinese, partecipare a iniziative di “dialogo culturale” senza un richiamo alla tragedia in corso significa ignorare la responsabilità etica e morale di ogni attore pubblico. Una visita istituzionale ha senso solo se capace di contestualizzare la memoria storica in chiave di diritti, giustizia e consapevolezza delle ingiustizie contemporanee. Altrimenti, rischia di trasformarsi in un silenzioso assenso all’indifferenza, e questo la memoria non può permetterlo.
L’opportunità di una visita a Levi avrebbe potuto essere un momento di riflessione civile e culturale, un richiamo alla solidarietà e alla difesa dei diritti umani oggi, non solo un’occasione di immagine o promozione turistica. La memoria deve essere pratica attiva: chi la gestisce ha il dovere di usarla per educare alla verità e alla giustizia, non per fini di rappresentanza o interesse. Solo 20 giorni fa, in occasione del festival della paesologia, ad Aliano in diversi punti sono state collocate bandiere della palestina ed è stato promosso un dialogo con decine di testimonianze dedicate a quanto sta avvenendo.
La memoria di Levi non è un bene da strumentalizzare per iniziative di marketing. Il suo confino fu esperienza di resistenza, sofferenza e denuncia dell’ingiustizia; oggi, la politica locale ha l’occasione di ricordare quei valori anche nel presente, ma gesti come questo rischiano di banalizzare un messaggio morale e universale.
