Mahsa (Jina), la parola chiave di una rivolta contro gli ayatollah di Teheran

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11 Febbraio 1979 molti iraniani pensavano di aver ottenuto con la rivoluzione, quelle libertà politiche che non avevano e una maggiore uguaglianza sociale. Nessuno pensava che in breve, anzi in brevissimo tempo, avrebbe perso quelle libertà individuali che possedeva. Per  non parlare del benessere economico e dell’uguaglianza sociale. Le promesse dell’Ayatollah Khomeini di far sparire la povertà non si sono mai trasformate in realtà. Oggi ufficialmente il 30 per cento della popolazione iraniana vive al di sotto della soglia di povertà, mentre economisti indipendenti parlano almeno del 50 per cento della popolazione in una situazione di povertà assoluta.

Molte forze che avevano partecipato alla rivoluzione guidata dall’Ayatollah Khomeini sono state messe al bando. I seguaci del vecchio Khomeini nei primi due anni hanno eliminato politicamente e spesso anche fisicamente, i critici della loro “rivoluzione”, iniziando dai gruppi etnici, proseguendo con coloro che definivano liberali e arrivando alla sinistra. Le prime vittime sono state senza dubbio le donne, che sono state anche le prime a scendere in piazza, l’8 Marzo dello stesso anno, contro il regime teocratico che aveva deciso di imporre il velo.

Non è un caso che anche la rivoluzione “Donna, Vita,Liberta’” sia un movimento a guida femminile. Le donne, assieme ai gruppi etnici e le minoranze religiose, sono le principali vittime di 44 anni di regime islamico. La rivoluzione iniziata lo scorso 16 Settembre ha avuto inizio con l’assassinio di Mahsa (Jina) Amini. Mahsa (Jina) era una donna, di fede sunnita e apparteneva all’etnia curda. Inotre aveva protestato vivacemente contro la proprio detenzione, avvenuta solo perchè il suo velo non copriva tutti i capelli e qualche ciocca era scivolata fuori.

Le grida di Mahsa (Jina) mentre agenti della polizia (im)morale sbattevano la sua testa contro il finestrino dell’auto, quel giorno non le ha sentite nessuno se non i suoi aguzzini, oggi invece le stanno sentendo tutti nel mondo nelle molteplici manifestazioni in giro per il mondo a sostegno della rivoluzione “Donna,Vita,Libertà”. Le grida di Mahsa (Jina) le abbiamo ascoltate durante la cerimonia della consegna dei premi  Grammy, l’Oscar della musica, e anche al Festival di Sanremo, o ai concerti dei Coldplay o di Roger Waters. Il suo nome ha risuonato  nelle aule dei parlamenti di molti paesi. Tanto da obbligare i paesi occidentali, tra i quali l’Italia, a disertare la cerimonia ufficiale dell’anniversario della rivoluzione islamica a Teheran.

Tutte queste manifestazioni di solidarietà con il popolo iraniano che si batte per la democrazia e la libertà, o come dicono i giovani iraniani per una “vita normale”, sono importanti ma non bastano. I governi dei paesi occidentale e democratici dovrebbero e potrebbero fare molto di più. Gli iraniani non chiedono interventi militari contro il regime islamico, perchè questa rivoluzione ha dichiarato  e lo ha dimostrato, che è contraria alla guerra e alla volenza. Quello che chiedono ai governi dei paesi che hanno una cultura ed una tradizione democratica, è di non intrattenere rapporti politici, diplomatici ed economici con un regime che solo negli ultimi 5 mesi ha ucciso oltre 600 uomini, donne e ragazzini durante le manifestazioni, che ha arrestato oltre 20.000 persone colpevoli di aver partecipato alle proteste ed ha impiccato 4 dimostranti, mentre almeno altri 70 rischiano la pena di morte.


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