Giornalismo sotto attacco in Italia

Giornata mondiale della disabilità, tempi duri per avere speranze

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La Costituzione garantisce a ogni donna e uomo, senza eccezioni, l’esercizio dei propri diritti. È, sovente, un percorso arduo, specie per troppe persone con disabilità, che vivono condizioni di solitudine ed emarginazione”. Lo afferma il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità sottolineando che “pregiudizi e stereotipi ostacolano la piena partecipazione alla vita della comunità e la messa in valore dei loro talenti”.

Il pensiero del primo capo dello stato che ha aperto il lido di Castel Porziano tutta l’estate per i disabili, va subito a quei sette milioni di nuclei familiari dove è presente qualcuno che deve fare i conti con qualche forma di disabilità. “Le famiglie affrontano sfide enormi – sottolinea Mattarella -. Ritardi, dinieghi, complicazioni irragionevoli, aggravano il peso economico, organizzativo ed emotivo della cura delle persone con disabilità, talvolta afflitte da abusi e maltrattamenti oltre che da discriminazioni. È una ferita per l’intera collettività e a essa va posto riparo con politiche e scelte appropriate”.E’ un problema complesso davvero, che ha spaventato per decenni la politica, la società, la medicina,la scuola.

Ne voglio parlare al passato perché bisogna riconoscere che le Nazioni Unite – alle quali ormai i nuovi poteri autocratici non rispondono più – dal 1981, anno in cui fu istituita questa giornata mondiale il 3 dicembre, hanno contribuito a far fare passi avanti ad ogni paese, anche con apposite campagne finalizzate a far comprendere che il disabile è n uno come noi che ha avuto meno fortuna.

Tutto quello che è stato fatto è ancora molto insufficiente, tuttavia noi di una certa età ricordiamo bene quando cominciarono ad esserci i parcheggi per gli invalidi, gli scivoli ai lati dei marciapiedi, gli ingressi larghi per far passare la sedia a rotelle…non basta affatto e il tema delle barriere architettoniche soprattutto nei centri delle nostre città permane, tuttavia negare i passi avanti sarebbe sbagliato. Oggi la legge 104 del 1992 può e deve essere migliorata, la burocrazia va snellita, deve essere riconosciuto il ruolo dei caregiver che sacrificano la loro vita per i loro cari colpiti da disabilità. Dovremmo ricordarci che nessuno è al sicuro: si attraversa la strada, un incidente, non si muore ma si rimane tetraplegici. Ti svegli una mattina con un mal di testa che non passa e scopri di avere una malattia neurologica cronica. Sono eventi che hanno una dirompenza inimmaginabile non solo per i singoli, ma nella società.

Da alcuni anni esiste il ministero delle disabilità e l’attuale titolare, la leghista Alessandra Locatelli, un disegno di legge di riforma lo ha presentato. Finalmente, e giustamente, viene riconosciuto l’interesse collettivo di una attività di cura. Sia la scelta dell’aiuto quanto la finalità sintetizzano una problematica non riducibile a una sola dimensione. La persona anziana bisognosa di interventi ha specifiche necessità, e quindi richiede una pluralità di strumenti da mettere a disposizione, il giovane tetraplegico ne ha altre molto diverso, chi è colpito dalla malattia dello spettro autistico ne ha di particolarissime, chi non vede o non sente ha le sue peculiarità, chi è nato con malattia genetica rara è un caso ancora più complesso. Perciò urge la conoscenza del fenomeno – dati statistici, epidemiologici, condizioni socioculturali ed economiche, ecc. – per una corretta programmazione. L’espressione più ricorrente, che fa riferimento a una realizzazione più auspicabile, è “assistenza domiciliare”. Ma quale assistenza: solo sociale o anche sanitaria? Con quale grado di intensità? E in quali alloggi: nelle case popolari senza ascensore o con ascensori fuori uso da anni? In periferie degradate e non sicure?

I modelli però esistono. Richiedono competenza e, inevitabilmente, investimenti. Che come al solito non ci sono.La proposta di legge, ad esempio, sembra destinata solo ai caregiver familiari. Ma quando non ci sono familiari? Sono note le dimensioni delle attuali famiglie. La città metropolitana conosce la crisi demografica, l’anagrafe e la condizione urbanistica. I familiari – in maggioranza donne (mogli, mamme, sorelle, figlie) – possono dedicarsi all’anziano fino a quando mantiene una certa autosufficienza. Quando si aggravano le patologie, oppure appare la malattia di Alzheimer o qualche altra forma di demenza, il caregiver familiare deve affrontare un cataclisma affettivo, psichico, organizzativo senza strumenti. Privi di familiari disponibili, i nostri anziani in casa sono seguiti da quelle persone preziose che chiamiamo badanti, quasi tutte straniere, che meriterebbero qualche occasione di formazione gratuita e anche altre garanzi. Ma allora in quali case sarà possibile, con quale personale, con che prestazioni, e per quanto tempo? Non credo valga la pena di richiamare la penuria di medici di famiglia o la più grave mancanza di infermieri. Dove possiamo pescare infermieri di famiglia, e per la scandalosa frequenza annua di prestazioni di 12 ore per assistito?

Si torna al dunque: chi ha i mezzi economici potrà scegliere badanti, infermieri, collaboratori adeguati. Gli altri restano al palo. Ed è per questo che la sola assistenza domiciliare per i disabili non basta, lo stato deve garantire i diritti costituzionali a tutti, con le case di cura specializzate per le forme di invalidità e le residenze sanitarie assistite. E qui la politica c’entra eccome. Siamo assuefatti a vedere inchieste sui maltrattamenti agli anziani nelle case d riposo, non ci turba neanche più il racconto dei casi di bullismo, maschile e femminile, che avvengono a scuola sugli alunni disabili, per i quali è sempre più difficile trovare insegnanti di sostegno.

Il modello dominante è quello che vince solo il più forte, il più bello, il più “spaccante”, che ha più like. Così non si va lontano. Per questo oltre all’educazione affettiva nelle scuole sarebbe indispensabile introdurre l’insegnamento del civismo, della solidarietà, dell’inclusione.

Per Mattarella “Ritardi, dinieghi, complicazioni irragionevoli, aggravano il peso economico, organizzativo ed emotivo della cura delle persone con disabilità, talvolta afflitte da abusi e maltrattamenti oltre che da discriminazioni. È una ferita per l’intera collettività e a essa va posto riparo con politiche e scelte appropriate”. Ma sono tempi molto duri per la speranza.


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