Cosa spinge centinaia di migliaia di persone, in gran parte giovani e giovanissimi, a occupare le piazze italiane, senza sosta, da Nord a Sud?
I moti popolari delle manifestazioni oceaniche di questi giorni sono accomunati essenzialmente da un desiderio di rispondere alle profonde ingiustizie derivate dalle guerre, in particolare dallo sterminio pianificato del popolo palestinese da parte del governo di ultradestra di Nethanyau, dai ministri Katz, Ben Gvir, Smotrich, che hanno spinto il conflitto ben al di là di una risposta militare all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023. Ma, oltre al motivo scatenante, la Palestina, c’è un malessere, un malcontento generale che unisce nelle piazze strati sociali di popolazione differenti e che supera lo steccato ideologico di stampo novecentesco dello scontro destra-sinistra. Qui c’è la richiesta di partecipazione.
Una spinta che viene dal basso.
Nessun partito di sinistra e centrosinistra, nessuna organizzazione sindacale, nessuna associazione, può prendersi da sola il merito di aver convogliato nelle piazze, in pochi giorni, un numero così enorme di persone. Certamente qualcuno ha intuito il sommovimento tellurico del desiderio di contarsi, ma il bisogno è andato oltre e ha determinato una spinta che viene dal basso. Certo, i partiti c’erano ma non sono più radicati nel territorio come negli anni Settanta, Ottanta. Certo la Cgil sfiora i sei milioni di iscritti che hanno prestato una parte dell’organizzazione logistica dello sciopero, così come le sigle di base. Certo associazioni con Arci, Anpi, Emergency, Libera, Acli, costituiscono la base del volontariato. Ma, pur mettendo in fila tutte sigle non si capirebbe l’incremento costante di una moltitudine che ha mostrato per la prima volta la faccia. Con ogni probabilità questa partecipazione non si tradurrà in voti, perché le distanze con le forme organizzate della politica restano siderali. Qualcosa però è accaduto. Qui c’è il bisogno di un’altra politica.
