Giornalismo sotto attacco in Italia

Rai dove sei?

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Auspichiamo che “No other land” vada in onda il prossimo 7 ottobre in prima serata su Raitre, come previsto in un primo momento (trasmetterlo due settimane dopo, dunque fuori contesto, non avrebbe senso), che per certi episodi incresciosi, sempre più frequenti a dire il vero, qualcuno si scusi, che la qualità venga tutelata, che ci si ponga il problema del Tg5 che comincia a sovrastare negli ascolti il Tg1, e lo stesso dicasi per “La ruota della fortuna” nei confronti di “Affari tuoi”, e potremmo andare avanti ancora a lungo. Lo auspichiamo, ma il punto è un altro: ora che è ricominciata la stagione autunnale e che i vari Augias, Gramellini, Fazio, Berlinguer e via elencando mietono ascolti e consensi altrove, e ora che persino Massimo Giannini sta per esordire con “Circo Massimo” sul Nove, cosa è rimasto della RAI? Da persone che l’hanno amata e la amano, che in molti casi vi hanno lavorato per decenni, che hanno contribuito a renderla grande, che ne hanno scritto pagine importanti e che l’hanno difesa da qualunque attacco, primo fra tutti quello al canone e alla funzione stessa del servizio pubblico in una società democratica, ci domandiamo se quest’azienda sia ancora salvabile e, per la prima volta, e con la morte nel cuore, iniziamo a temere di no. Temiamo di no perché noi stessi ormai non la guardiamo più, perché ogni sera ci accasiamo volentieri su altre emittenti, perché seguiamo altri telegiornali, altri approfondimenti, altri speciali, perché non vediamo più valorizzate le notevoli professionalità pur presenti e bisognose di essere lanciate e tutelate e perché il nostro è un dissenso qualitativo prim’ancora che ideologico. Si può, infatti, essere di destra ed essere dei galantuomini, si può ospitare e intervistare chi si vuole e realizzare comunque un prodotto di livello, si possono esprimere idee urticanti e avere seguito e onestà intellettuale da vendere, ma è ancora questo il caso? Non abbiamo risposte in tal senso, ma ci addolora, non sapete quanto, il solo doverci porre l’interrogativo. Perché significa che qualcosa si è rotto, forse per sempre, in un rapporto che è stato per una vita umano e sentimentale prim’ancora che professionale e, in alcuni casi, anche politico.
Di fronte a questa situazione, il rammarico non basta più: urgono azioni concrete per salvare il salvabile, urge una mobilitazione generale in vista del rinnovo della Concessione nel 2027, urge lo sblocco immediato della Commissione di Vigilanza, urge la garanzia che il giornalismo d’inchiesta non venga gettato alle ortiche, urgono risorse chiare e sicure e non esposte ai venti e alle bizze della maggioranza di turno, compresi fior di privatizzatori e fautori dell’abolizione del canone, e urge, più che mai, una visione affinché sia chiara la direzione in cui debba navigare questo transatlantico che oggi ci sembra, invece, drammaticamente arenato.
In caso contrario, attendiamo con ansia la fiction sui camionisti, tanto cara, a quanto pare, al Ministro dei Trasporti, e poi ci rassegniamo: se proprio non ci volete più come spettatrici e spettatori, togliamo a malincuore il disturbo.

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