Non è nostra abitudine coinvolgere un intero popolo nelle decisioni del suo governo (anche perché, se il criterio dovesse essere applicato a noi italiani, potremmo incappare in spiacevoli sorprese); fatto sta che, di fronte alla sostanziale acquiescenza degli israeliani nei confronti di Netanyahu e soci, non possiamo non rammentare lo stato di catalessi in cui sembra essere caduta la società civile di un Paese un tempo partecipe e ipercritico nei confronti di qualunque esecutivo. E non confondano le manifestazioni, per quanto oceaniche, cui assistiamo di frequente a Tel Aviv: che la capitale abbia un’opinione pubblica più colta, politicizzata e addentro alle tragiche vicende in atto è quasi ovvio, accade in qualunque nazione ed è un altro segno distintivo delle fratture sociali esistenti e della crisi in cui versano le democrazie occidentali e i loro principali alleati. Spiace dirlo, ma il cuore di Israele, al momento, batte dalla parte di personaggi come Smotrich e Ben Gvir. Ciò non ci impedisce di apprezzare il quotidiano Haaretz, di leggere con gioia le analisi di un grande giornalista come Gideon Levy, di ammirare scrittori come Etgar Keret e David Grossman e di schierarci convintamente contro ogni forma di boicottaggio nei confronti di artisti e personalità del mondo dello spettacolo, qualunque sia la loro nazionalità; non ci annebbia, tuttavia, al punto di non vedere che l’ideale messianico dell’Erétz Yisra’él, la Terra promessa direttamente da Dio ai discendenti di Abramo, attraverso suo figlio Isacco, e agli israeliti, discendenti di Giacobbe, nipote di Abramo, quest’aberrazione in base alla quale molti giustificano ogni mattanza sia oggi predominante. Nel momento in cui si arriva nei pressi del “Deus vult”, del “Gott mit uns” e di orrori del genere, è chiaro che ogni forma di razionalità sia venuta meno. Ed è altrettanto chiaro che la comunità internazionale debba prendere le distanze e varare sanzioni durissime nei confronti di un governo che si sta rendendo protagonista di un autentico genocidio: la soluzione finale nei confronti dei palestinesi, magari per trasformare le rovine di Gaza in una lussuosa località turistica, incentivando i pochi superstiti ad andare non si sa dove previo versamento di un obolo che di tutte le violenze che ha subito quel popolo è davvero la più oscena. Barattare la vita, la dignità, la libertà e il diritto all’autodeterminazione di una comunità per una cifra miserabile (ma anche se fosse cospicua il discorso non muterebbe di una virgola) rappresenta, infatti, l’ultimo sfregio, quello dal quale non sarà possibile tornare indietro.
Quanto alle minacce rivolte dall’indegno esecutivo Netanyahu nei confronti della Global Sumud Flotilla, i governi europei non possono rimanere in silenzio. Nessuno, difatti, può permettersi di torcere impunemente un capello a un nostro connazionale, sommergendolo di accuse false e ingiuriose come quella di associazione terroristica e imprigionandolo in condizioni disumane. Nessuno può permettersi di compiere un simile atto di guerra, e qualora dovesse accadere dovrebbe essere trattato come tale. Il fatto che non sia stato ancora ritirato un solo ambasciatore da Israele o convocato un ambasciatore israeliano in una delle capitali europee la dice lunga sulla nostra irrilevanza o, per meglio dire, sul nostro tacito assenso verso chi, per dirla col cancelliere tedesco Merz, “sta facendo il lavoro sporco per tutti noi”. Parlasse per sé, non in nostro nome.
