Giornalismo sotto attacco in Italia

Spezzate le targhe dedicate a Mor Diop e Samb Modou, uccisi nel 2011

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Hanno distrutto le targhe dedicate a Mor Diop e Samb Modou. Non è solo un gesto vile contro un pezzo di marmo, ma un’offesa diretta alla memoria di due uomini uccisi a Firenze il 13 dicembre 2011 dal neofascista di CasaPound Gianluca Casseri. Mor Diop aveva cinquantquattro anni, lavorava come ambulante e con i suoi guadagni manteneva una famiglia allargata di quasi quindici persone; aveva già comprato il biglietto per tornare in Senegal per Natale. Samb Modou ne aveva quaranta, era anch’egli ambulante e aveva lasciato in patria la moglie e la figlia Fatou: la sua vita in Italia era fatta di sacrifici per mandare soldi a casa, con la speranza di ricongiungersi presto. Non erano simboli astratti, erano vite concrete, uomini in carne e ossa, padri, lavoratori. Furono colpiti a morte insieme ad altri tre connazionali che rimasero feriti, in una mattina di mercato, solo perché neri. Quando oggi qualcuno colpisce quelle targhe, colpisce di nuovo i loro corpi, cerca di cancellare il dolore delle famiglie e della comunità senegalese, insulta la città intera. E poco importa se l’autore del gesto fosse un vandalo fuori controllo o un militante dichiarato: il risultato è sempre lo stesso, una ferita aperta nella memoria pubblica, la conferma che il razzismo continua a respirare nel nostro presente.
Ma fermarsi qui sarebbe comodo. Perché non è mai solo un gesto isolato. La strage del 2011 non fu “la follia di un solitario”: Casseri era un militante di CasaPound, immerso in un clima culturale e politico che legittimava la violenza fascista e razzista. E oggi quel clima non è finito, anzi. Pochi giorni fa in Lombardia si è svolto il cosiddetto Remigration Summit, un raduno suprematista che propone la pulizia etnica con un altro nome. Sul palco c’erano i teorici della “grande sostituzione” come Martin Sellner, e tra gli organizzatori italiani c’era un ex militante di Gioventù Nazionale, la giovanile di Fratelli d’Italia. Da parte della Lega e della destra di governo non c’è stato nessun rigetto, anzi: videomessaggi, saluti, applausi. Quando la politica legittima parole come “remigrazione”, quando costruisce consenso dipingendo i migranti come invasori, prepara il terreno perché qualcuno trasformi quelle parole in sangue. Casseri ha già mostrato come si fa. In questo quadro, sentire il ministro Giuli dire che CasaPound non va sgomberata “nella misura in cui si allinea alla legalità” è più di una provocazione: è la normalizzazione di un’organizzazione neofascista che la Costituzione antifascista dovrebbe già aver sciolto. Non è una questione di occupazioni abusive, è una questione politica e storica: CasaPound porta sulle proprie spalle la responsabilità culturale della strage di Firenze. Finché le sue sedi restano aperte e i suoi simboli legittimati, ogni targa che ricorda Mor e Samb sarà a rischio.
Per questo non basta promettere di rimettere le lastre al loro posto. Non basta un minuto di silenzio. La memoria non è un rito: è un’arma. Ricordare Mor Diop e Samb Modou significa denunciare la radicalizzazione neofascista, smascherare i partiti che usano il razzismo come carburante, dire che ogni parola d’odio porta con sé la possibilità di una nuova strage. Significa scegliere da che parte stare: con le vittime, con la comunità che resiste, con la Firenze Medaglia d’Oro alla Resistenza e con ogni città che non accetta di piegarsi.

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