Televisivamente parlando, Pippo Baudo è stato uno degli ultimi “Sacerdoti del Tempio”, legato a quell’idea di servizio pubblico di cui ormai si è smarrito il seme.
Con la sua scomparsa, a ottantanove anni, se ne va forse l’idea stessa della RAI, almeno per come l’abbiamo conosciuta. Una fucina di talenti, un luogo accogliente e ospitale, un salotto alla portata di chiunque: questa era la televisione di Baudo, da Domenica In a Fantastico, passando per i suoi tredici Festival di Sanremo, kermesse della quale è stato per decenni il monarca pressoché incontrastato (solo Mike Bongiorno poteva competere con lui per notorietà e prestigio).
Addio, dunque, al presentatore per eccellenza, al mattatore di tante serate, all’uomo colto che sapeva coniugare come pochi apocalittici e integrati, a uno dei grandi vecchi del piccolo schermo e a un baluardo senza il quale possiamo davvero ammainare la bandiera della RAI che fu. Indietro non si torna, questo è noto, come è noto che stiamo vivendo una stagione di decadenza, nella quale non ci si preoccupa di formare una nuova classe dirigente, a nessun livello, nemmeno per quanto riguarda i presentatori, mandando a morire idee, vitalità, vivacità intellettuale, proposte e competenze di cui, invece, ci sarebbe bisogno come l’aria.
Catanese, classe 1936, ha attraversato da protagonista oltre mezzo secolo di televisione, in RAI e a Mediaset. Erede dei pionieri, da Nunzio Filogamo a Mario Riva, è stato, insieme a Corrado, al già menzionato Mike, a Enzo Tortora e ad altri mammasantissima di Viale Mazzini e dintorni, una colonna del costume italiano, accompagnandone l’evoluzione e, talvolta, anche indirizzandolo.
Aveva carattere, spirito istrionico, capacità di tenere il palco come quasi nessuno, sapeva spaziare dalla musica alla memoria e i suoi Festival non erano mai banali, come del resto nessuna delle sue trasmissioni.
Gli è stato chiesto anche un impegno politico, ma ha sempre rifiutato. Non si sentiva adatto, sosteneva che gli mancassero formazione e gavetta. Ha preferito continuare a svolgere al meglio il suo lavoro, battendosi affinché venissero concesse ai giovani le stesse occasioni che erano state garantite alla sua generazione. Non è stato ascoltato, come spesso capita ai visionari.
Affermava Ennio Flaiano che un giorno gli italiani sarebbero stati come li aveva forgiati la televisione. Se guardiamo all’avventura di Baudo, non possiamo che dargli ragione. E se per Mike Umberto Eco ha scritto addirittura una Fenomenologia, possiamo spingerci a sostenere che il Pippo nazionale sia stato un po’ la nostra autobiografia, nella sua accezione più nobile.
Un commosso saluto, con l’amara sensazione che non avrà eredi.
