Giornalismo sotto attacco in Italia

Gaza: fine e rinascita del giornalismo

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Anas Jamal Mahmoud al-Sharif: questo il suo nome. Aveva ventott’anni, era nato nel campo profughi di Jabalia e si era specializzato nella comunicazione per mass media, lavorava per Al Jazeera Arabic ed era la voce principale da Gaza. È stato assassinato dall’IDF mentre svolgeva il suo lavoro. Testimoniava il genocidio in atto, al pari di Anas al-Sharif Mohammed Qreiqeh,
Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal e Moamen Aliwa, vittime della stessa sorte. Cronisti e cameraman, dunque, i veri nemici del regime israeliano, che per occupare militarmente l’intera Striscia ha bisogno del silenzio, dell’acquiescenza e della complicità dell’Occidente. Che nessuno si indigni, che nessuno alzi la voce, che nessuno ponga domande, che nessuno gridi, che nessuno faccia presente che l’esercito israeliano sta compiendo una strage senza fine, che nessuno si assuma le proprie responsabilità, che nessuno affermi con chiarezza che, giunti a questo punto, non c’è 7 ottobre che tenga perché questa non è una risposta o una reazione ma una strage deliberata, pianificata e volta a cacciare definitivamente un popolo dalla sua terra, che nessuno, in poche parole, svolga davvero la nostra professione. Di questo hanno bisogno e in questa direzione agiscono, inventando scuse pietose e invereconde come la complicità di voci, volti e taccuini con il terrorismo. Di fronte a un simile scempio, quel che resta della nostra società, di quella che ancora chiamiamo “civiltà occidentale” ha il dovere di non tacere. Perché ormai non siamo più nemmeno alla complicità: siamo oltre. Tocca a noi, sia chiaro, perché i governi del Vecchio Continente, e figuriamoci l’Amministrazione Trump, non agiranno, se non, al massimo, con tardivi riconoscimenti di uno Stato ormai spazzato via: da una parte Israele, dall’altra le macerie e i cadaveri dei palestinesi. Troppo comodo così, troppo ipocrita, diremmo quasi indegno. Peccato che sotto quelle macerie finiremo col rimanerci anche noi, perdendo di fatto il diritto di indignarci di fronte all’azione criminale di qualunque despota.
Quanto all’informazione, mai come ora stiamo capendo la differenza fra i giornalisti-giornalisti e gli altri, coloro che rimangono indifferenti per non turbare qualche equilibrio politico e non compromettere la propria carriera. Non avendo una coscienza, sarà la storia a giudicarli, e non sarà clemente.

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