Giornalismo sotto attacco in Italia

Francesca Albanese e il buio sulla Palestina

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Ora che Netanyahu ha annunciato di voler occupare l’intera Striscia di Gaza, suscitando persino lo sdegno di chi per due anni si è ben guardato dal muovere la benché minima critica a Israele e al suo governo, ora che finanche generali, personalità di area moderata e conservatrice, ex capi del Mossad e dello Shin Bet e osservatori internazionali di tutti i colori politici criticano apertamente una politica disumana e genocidiaria, constatiamo con sgomento come sia rimasto giusto il governo italiano, insieme a pochissimi altri personaggi che si commentano da soli, a non prendere una posizione netta in merito a quest’olocausto contemporaneo. Olocausto sì, utilizziamo questo termine assumendocene la piena responsabilità perché purtroppo non esiste l’esclusività delle tragedie e ci è, invece, cara la definizione di “olocausti” formulata in un saggio dallo studioso francese Gilles Kepel, il quale apre uno squarcio sull’ipocrisia contemporanea rendendo giustizia a tutti i popoli che sono stati vittime, in periodi differenti, di una sistematica azione di sterminio. Oggi tocca ai palestinesi ed è bene che la comunità internazionale se ne faccia carico, a cominciare da quel che resta dell’Unione Europea: un’entità oscura, la cui esistenza in vita è messa in discussione non solo dai dazi di Trump quanto, soprattutto, dai cedimenti morali, dai doppi standard adottati a seconda delle circostanze, ad esempio l’Ucraina e per l’appunto Gaza, e dalla complessiva inconsistenza della sua classe dirigente.
Anche per questo siamo grati alla special rapporteur delle Nazioni Unite Francesca Albanese, autrice di una denuncia intitolata “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio” (Paper First editore) che mette in evidenza le complicità di multinazionali, aziende e attori di varia natura nella mattanza in atto contro i gazawi e ora in Cisgiordania. Del resto, se il profitto è diventato l’unico dio, se al totem del denaro si può sacrificare tutto, se non esistono più argini, né politici né ideali, in grado di fermare la marea di disumanità che si è abbattuta sul mondo; insomma se siamo in preda a un processo di devastazione della collettività senza precedenti, non possiamo che stringerci intorno a quelle poche figure, tra cui Albanese, che hanno scelto di restare umane, dire la verità e compiere una meritoria azione di disvelamento di crimini di cui le future generazioni ci chiederanno conto, come noi chiediamo conto dello sterminio degli ebrei nei lager e di tutte le altre aberrazioni che hanno segnato il Novecento.
Una considerazione, infine, la merita il servizio pubblico, e non è certo lusinghiera. Che la RAI non abbia ancora trovato spazio, in un palinsesto estivo oggettivamente alquanto carente, per dedicare una prima serata a ciò che sta accadendo a Gaza ne mette in discussione il ruolo e la funzione. D’accordo che il governo italiano sia quello che sia, d’accordo che la Presidente del Consiglio abbia avuto il coraggio di dichiarare che non è ancora il momento di riconoscere lo Stato di Palestina, d’accordo che la vicinanza dei vertici di Viale Mazzini (oggi via Asiago per la presenza di amianto nella sede storica) non sia certo una peculiarità di questo esecutivo, va bene tutto, ma ci sono assenze che parlano, e pesano, più delle presenze. Servizio pubblico, dicevamo: ecco, vorremmo averne ancora uno, specie ora che il mondo ci è entrato in casa, con i suoi drammi e i suoi interrogativi angoscianti, e voltarsi dall’altra parte non è più possibile né, tanto meno, accettabile.


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