Giornalismo sotto attacco in Italia

Ad Anchorage il preludio di una nuova Jalta (senza l’Europa)

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Attenzione a non sottovalutare ciò che è accaduto ad Anchorage, in Alaska, dove si sono incontrati Trump e Putin per discutere di questioni che vanno ben al di là della semplice guerra in Ucraina. Un conflitto atroce, d’accordo, ma anche il racconto della geo-politica attraverso i buoni sentimenti non ci sembra una grande idea, non foss’altro che per la sua falsità. Quella che si profila all’orizzonte, infatti, è una nuova Jalta, ma stavolta senza l’Europa o, per meglio dire, senza quella sua singolare appendice chiamata Inghilterra che tuttavia, nel febbraio del ’45, ci consentì di ridisegnare il mondo e dargli un ordine e un’ispirazione democratica. Stavolta no. Anchorage è la rappresentazione plastica dell’estromissione dell’Europa dai tavoli che contano. Del resto, non avrebbe potuto essere un interocutore dopo tre anni trascorsi ad armare uno dei due contendenti (per giunta senza nominare un proprio rappresentante, ad esempio Angela Merkel) al di là di ogni evidenza, nonostante sconfitte sul campo sempre più sanguinose, porzioni di territorio conquistate dai russi, devastazioni crescenti e il concreto rischio di un conflitto atomico da un lato e della sparizione dell’Ucraina stessa dall’altro.
Trump e Putin non sanno neanche dove stia di casa la democrazia né se ne preoccupano minimamente: sono due autocrati che tengono in scacco i rispettivi paesi e dettano legge a livello globale, forti delle loro oltre diecimila atomiche in due e del peso militare di entrambi. L’avremmo dovuto capire molto prima, come europei, che questa guerra non l’avremmo potuta vincere, che si trattasse di uno scontro fra l’America di Biden, di cui la NATO costituisce una propaggine, e la Russia di Putin, con l’Ucraina nei panni della vittima sacrificale. Avemmo dovuto assumere un ruolo politico e diplomatico, una postura ben diversa e toni radicalmente opposti. Comportandoci come ci siamo comportati, invece, perseguendo l’obiettivo assurdo e pericolosissimo del cambio di regime a Mosca, della cacciata di Putin e dello smembramento della Russia, quasi a voler completare l’opera del post-’89, trasformandoci nel braccio armato di un’alleanza che forse non ha più ragione di esistere e interrompendo ogni rapporto con un paese dal quale non possiamo prescindere a livello di energie e risorse, al termine di un triennio di errori senza fine da parte di una congrega di erinni e guerrafondai di varia natura, era ovvio che il destino della guerra, proprio come avvenne per il conflitto nell’ex Jugoslavia, si sarebbe deciso altrove. A Dayton (Ohio) allora, ad Anchorage adesso, a dimostrazione che l’Unione Europea non riesce ad affrancarsi dal ruolo di succursale americana, non riesce ad assumere una propria fisionomia, non ha la benché minima autonomia decisionale e non pare aspirare ad averne una.
E così, ribadiamo, ottant’anni dopo la conferenza di Jalta, eccoci a dover fare i conti con una nuova definizione degli equilibri globali, in cui al massimo potrà inserirsi la Cina, forse l’India, ma non più l’Unione Europea, alla quale non resta che continuare a compiere dichiarazioni roboanti, a garantire a Zelens’kyj amore eterno e sostegno imperituro, a definire Putin il male assoluto (e certamente, in parte, lo è pure) e a inscenare la propria pantomima, mentre le decisioni importanti vengono prese ad altri livelli e in altri contesti, consentendoci al massimo di sbraitare prigionieri della nostra impotenza.
Con un cinismo che non ci appartiene, potremmo addirittura sostenere che l’Ucraina, a questo punto, sia l’ultimo dei problemi: non perché le sorti di quel popolo martoriato non ci interessino e non siano prioritarie ma perché è evidente che in Alaska siano state poste in fondo all’agenda. E quando i sedicenti “Volenterosi” torneranno alla carica, sfidando apertamente le due principali potenze atomiche potendo contare sui rottami dei francesi, sulla voglia di menar le mani degli inglesi, evidentemente ignari che la stagione del Commonwealth sia finita, e sull’esaltazione bellicista dei tedeschi, in preda a smanie da pangermanesimo ma senza più le potenzialità complessive per realizzarlo, saranno semplicemente baipassati: dai due despoti e, quel che è peggio, dalla realtà. E questa, per chiunque abbia ancora a cuore quel valore ormai desueto chiamato democrazia, è più di una sconfitta: è la fine di un sogno, temiamo della nostra missione storica, politica ed esistenziale.

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