Giornalismo sotto attacco in Italia

A Mestre un presidio per la Palestina. Con Nandino Capovilla

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«L’importante non è il megafono, ma il messaggio»: una volta subita l’espulsione da Israele motivata dal suo essere “pericoloso per la sicurezza nazionale”, è con questa affermazione che Nandino Capovilla, parroco a Marghera, parte dell’Associazione Pax Christi Italia e tra i fautori della Campagna “Ponti e non muri” tesa a creare un dialogo tra Ebrei e Palestinesi, ha voluto spostare l’attenzione dalla sua persona a coloro che, insieme a mons. Ricchiuti, presidente di Pax Christi, e a una quindicina di attivisti, si era recato a visitare e a portare un messaggio di pace.

Con questo spirito e con quel titolo, in presenza di don Nandino, le associazioni locali Casa di Amadou, Mediterranea Saving Humans, Laboratorio Climatico Pandora e il gruppo Agesci Marghera 1, hanno indetto per la vigilia di ferragosto un presidio per la Palestina nel centro di Mestre, cittadina veneta che ha risposto con una presenza significativa dimostrando di non volersi girare dall’altra parte.

Lorenzo Lazzari, capo Scout, ha ricordato come solo pochi giorni fa Capovilla, presente a un loro campo estivo, aveva affidato a bambini e ai giovani presenti un messaggio dirompente di speranza e di comunione: una bandiera della pace, che sarebbe dovuta arrivare, firmata da tutti i presenti, agli Scout di Taybeh, nei Territori palestinesi occupati, con il quale durante l’anno avevano vissuto una sorta di gemellaggio al fine di costruire «una pace disarmata e disarmante». Forte il messaggio che era arrivato dagli Scout di quel villaggio cristiano: «Non siamo numeri! Siamo esseri umani. Siamo anime, siamo figli della pace e della giustizia. Noi crediamo che il vero Scout sia colui che sta nel cuore degli eventi. Non colui che fugge, ma colui che illumina la via per gli altri. Grazie a voi che avete ascoltato la voce di Gaza, la voce di tutti coloro che sognano la libertà e la dignità. Alzeremo la bandiera della pace nel nostro piccolo villaggio che continua a ergersi con fierezza di fronte agli attacchi brutali dei coloni israeliani e resiste ai tentativi di espulsione e cancellazione». Ebbene, quella bandiera che – gli Scout italiani dicono: per ora… – non è potuta giungere a destinazione, aveva l’intenzione di sigillare ed essere segno di quel ponte che si era creato.

Lazzari ha poi posto alcune domande che a suo avviso rimangono senza risposta: «A chi spetta il compito di chiedere conto di quanto stia succedendo in Palestina e di quanto sia successo a don Nandino? Chi valuta politicamente su quali fondamenti giuridici una persona sia ritenuta pericolosa per la sicurezza nazionale di un altro Stato? Le nostre istituzioni concordano o dissentono, prenderanno ulteriori provvedimenti contro di lui, o faranno sentire le proprie ragioni nelle opportune sedi?». E ha concluso il suo intervento sottolineando come la ragione di stato al momento stia tutelando chi è responsabile di 60mila morti con un silenzio assordante: «Noi pensiamo che questi silenzi siano molto diseducativi, anticristiani e antipolitici».

Laura Fontolan del Laboratorio Climatico Pandora, gruppo di giovani che nel 2021 ha occupato l’ex Cup del vecchio ospedale Umberto I di Mestre, dismesso fin dal 2008, per attivare dei progetti di rigenerazione sociale, ha esordito affermando come la parola “genocidio” abbia perso il valore, il peso e la realtà del significato che ha, nel momento in cui abbiamo superato i 60.000 civili ammazzati. E, domandandosi dove siano le istituzioni e i governi europei che avrebbero il potere di fermare tutto questo orrore, è tornata sul silenzio, dicendo: «Questo genocidio è stato permesso anche per colpa del nostro Governo che contribuisce con l’invio delle armi e con un silenzio ripugnante. Noi, quel silenzio che la politica ci ha lasciato, abbiamo il dovere di riempirlo: di voci, di corpi, di lotta, di vita, perché se questo presidio parla di Palestina vuol parlare della nostra società, ciò che la nostra città può essere e rappresentare. È abituare la gente ad ascoltare, a porsi delle domande, a guardare il mondo con gli occhi più critici e a porsi contro queste dinamiche belliche; è non normalizzare lo sterminio e il genocidio; è non normalizzare la mentalità di chi produce guerra, bombe, fucili e cadaveri; è non normalizzare l’odio; è rispondere alla morte con la vita. Questo è ciò che noi, da qui, possiamo costruire». E ha concluso invitando a continuare «a lottare per una città solidale, aperta e accogliente; una città che ripudia la guerra e costruisce l’alternativa sociale basata sul non lasciare nessuna e nessuno indietro, sul cambiare prospettiva e puntare a un mondo libero da razzismi, nazionalismi, fondamentalismi, oppressioni e guerre; una città che sa attivarsi, non essere indifferente e impegnarsi a essere motore di cambiamento».

Per Marta Battistella della Casa di Amadou – che dal 2018 fa del dare casa, dell’amicizia e delle relazioni la sua storia di solidarietà – «disattendere e calpestare il diritto che nasce dai valori di umanità e rispetto delle persone non ha effetti drammatici solo in Palestina, ma in tutto il mondo, finendo per colpire tutte e tutti». E conclude: «Distruggere il tessuto sociale, impedendo che circolino informazioni, affetti, conoscenze, snaturare l’aiuto reciproco l’uno all’altro, rendere sempre più difficile le contaminazioni tra visioni ed idee altre, impoverisce le voci libere che si ritrovano isolate, lasciando che siano solo le poche e potenti a prevalere, facendo perdere, a lungo andare, la possibilità di presa di decisione e autodeterminazione dei popoli e dei singoli».

Un altro importante intervento è stato quello di Monica Paolini di Mediterranea Saving Humans, che ha sottolineato come «la supremazia dell’odio sia una logica mortifera che rischia di divenire chiave e metodo su cui si basano tutte le relazioni tra governi, tra realtà sociali e tra esseri umani. Questa logica afferma che non tutte le vite hanno il medesimo valore, le stesse necessità di cura, gli stessi diritti. Riteniamo necessario disertare qualsiasi terreno che favorisca l’idea che si possa costruire la sicurezza di alcuni attraverso l’annientamento degli altri quali scomodi ostacoli ai nostri piani». E incalza pretendendo il ripristino del tanto disatteso diritto internazionale.

A intervenire brevemente anche Nandino Capovilla che, pur confessando i naturali timori e paure vissuti all’aeroporto di Tel Aviv, ha evidenziato come la sua insistenza a non parlare di quanto accaduto a lui ma di quanto sta accadendo da anni a Gaza abbia portato un risultato concreto: «la novità è che, se ha funzionato nel mio caso, può funzionare sempre, si può parlare». Per questo ha voluto dare tre consegne: «non è tempo di rassegnarsi, è necessario aiutare la stampa a dire la verità andando al di là degli opportunismi e dobbiamo continuare a fare la nostra parte nel denunciare quanto stia accadendo».

I numerosi partecipanti all’evento si sono lasciati dandosi un nuovo appuntamento a sabato 30 agosto quando, alle ore 17, con “Stop al genocidio”, partirà dal piazzale santa Maria Elisabetta di Venezia, per raggiungere il Lido, il corteo che punterà sulla Palestina i riflettori dell’82a Mostra internazionale del Cinema del capoluogo veneto.

 


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