Chi di noi nel giro degli amici non ha annoverato un personaggio simile al Grande Bob; dove l’attributo ‘grande’ vuole esprimere l’istintiva ammirazione verso l’affabilità, l’allegria, la spontanea accoglienza che alcuni riescono a tramettere spontaneamente verso il prossimo; un ‘compagnone’ a cui ripetere ‘sei grande’, ogni volta che non rinuncia a farti ridere, a dissipare una tensione, a sdrammatizzare, e che soprattutto si impegna a non sciogliere mai per primo la compagnia, sottraendosi a una partita di belote, di cui è campione, o all’ultimo bicchiere della staffa. Così era il Grande Bob: una risata e via, accompagnata da un commento preciso e immutabile: “Che spasso!”.
La sua abitazione, a Montmartre, era un porto di mare, la porta sempre aperta e chiunque poteva entrare, sedersi e bere insieme a lui un ‘bianchino’, a qualsiasi ora del giorno, fin dal primo mattino, mentre nel laboratorio adiacente le giovani lavoranti di Lulu confezionavano cappelli per signore. Sotto la sorveglianza della signorina Berthe, più vicina ai cinquanta che ai quaranta, “magra e bruna, con un naso lungo e affilato, talmente freddolosa che d’estate come d’inverno porta della biancheria di lana che le dà un odore caratteristico”. Berthe, come fosse di famiglia, pranzava a tavola con i proprietari, considerato l’angelo custode della casa. “L’angelo custode di Bob o di Lulu?”
Già, Lulu: che strana accoppiata, lei così minuta e rotondetta da sembrare una bambina. Ma che cosa ci aveva trovato il Grande Bob? Eppure andavano così d’accordo, da apparire la compagna ideale, devota fino all’annullamento, felice della felicità del marito, anche quando lui si scapricciava non di rado, attraente e giocoso com’era, con qualche altra ragazza che gli cadeva tra le braccia.
E ora? Cosa era accaduto al Grande Bob, alto e lungo, simpatico, sempre disponibile e sorridente, aperto alla vita in ogni piega e manifestazione?
Una disgrazia imprevista, inconcepibile agli occhi dei numerosi frequentatori della casa di rue Lamarck che, con l’arrivo della bella stagione, si ritrovavano nello chalet Beau Dimanche a Tilly, sulla Senna. E quell’improvvisa passione di Bob per la pesca ai lucci, con le canne e le esche speciali, lui che non aveva mai mostrato in precedenza alcun interesse a quel passatempo.
Una mattina all’alba era stato trovato annegato vicino a una chiusa, con intorno alla caviglia attorcigliata per due volte la fune del poderoso peso di ghisa che serviva ad ancorare al fondo la canoa e immobilizzarla in mezzo alla corrente.
Una disgrazia? Così sembrava, una manovra mal riuscita a un inesperto come lui, una fatalità. Che aveva lasciato tutti sconvolti, a cominciare da Lulù, disperata, e annichilito il gruppo di amici di cui fa parte anche Charles Coindreau, un medico di base che quella domenica era insieme agli altri a Tilly con moglie e figli; e che volentieri durante i giorni feriali, sostava in rue Lamarck tra una visita e l’altra ai suoi pazienti.
A un’indagine più accurata la polizia non esclude l’ipotesi del suicidio; di cui nessuno però riesce a spiegarsi la ragione, riferito a un omone nei suoi pieni cinquant’anni, sempre di buon umore e senza problemi né economici né personali, dal momento che la sua esistenza filava liscia come l’olio.
Non viene avviata un’inchiesta, in fondo non ne emergono gli estremi, e il funerale è celebrato regolarmente in chiesa prima che sia emesso un ufficiale verdetto di suicidio. La folla gremisce la cerimonia funebre, il Grande Bob mancherà a tutti.
“Non so – osserva Charles – se dipendesse dal contrasto fra la seta nera e la luce del sole, fatto sta che Lulu non mi era mai parsa così nuda: dava l’impressione di non indossare altro sotto al vestito”.
Siamo nel pieno dell’estate, con il conseguente esodo per le ferie che svuota la città. Lulu rimane nella casa vuota e per non cedere all’angoscia, accetta di tenere con sé la prima lavorante, Berthe, che addirittura andrà a dormire nel letto matrimoniale al posto del marito. “Era evidente che si struggeva di un malcelato amore per Bob”
Il dottore Charles Coindreau è molto incuriosito da Lulu, va a trovarla, parla con lei, la fa sfogare, cerca di capire quale fosse il legame che univa i coniugi, un segreto che enigmaticamente lo intriga. Come del resto è attratto da Adeline, la più giovane delle lavoranti, che non è “né bella né brutta” e vive in una camera ammobiliata dove il Grande Bob si recava a trovarla il sabato, per fare l’amore. Sbrigativamente.
“Non so cosa mi abbia preso. Sempre fissando Adeline negli occhi, ho mosso le labbra come per scandire: “Sabato?” Lei aveva capito, ha battuto le palpebre in segno di assenso”.
L’aveva cercata anche prima, impaziente. “Non ce l’ha fatta ad aspettare fino a sabato?” Le chiede la ragazza.
“Senza sollevarsi dal letto, ha inarcato la schiena e, alzando una gamba dietro l’altra, si è sfilate le mutandine e le ha lanciate su una sedia. “Metta il chiavistello”.
“Più sono goffo nei miei approcci, più, ne sono certo, lei gongola. Spia il mio turbamento invece di pensare al proprio piacere, l’istante in cui, per un miracolo che si ripete milioni di volte al giorno, un corpo di donna diventa per un uomo la sola cosa che importi al mondo”.
L’irresistibile spontaneità con cui Adeline si concede a chi la vuole, finisce per soggiogare anche il medico, che lei tratta con disinvolta familiarità, come se lo stesse aspettando da sempre.
Costretto ad andare in vacanza con la moglie Madeleine e i figli, Charles sulla spiaggia non fa che pensare a lei, a quando la rivedrà, accontentandosi intanto di spiare dietro gli occhiali da sole le adolescenti, già sviluppate, che indugiano mezze nude nelle assolate ore di mare. La moglie, sospettosa, lo interroga, vuole sapere come sta Lulù, che anche lei conosce di persona e sa che il marito frequenta non soltanto per ragioni professionali. Trascorsi i quindici giorni di ferie, il medico, ritornato finalmente a Parigi, ancora da solo per qualche giorno, per prima cosa si precipita nella camera ammobiliata, dove Adeline l’aspetta. Sembrerebbe quasi che cerchi di sostituirsi in qualche modo al Grande Bob, prenderne il posto, avido di apprendere più notizie possibili sulla sua vita sregolata. Scopre così che l’uomo appartiene in realtà a una famiglia alto borghese; il padre è stato un celeberrimo docente di diritto alla Sorbonne, gli studenti studiano tuttora sui suoi testi, e il figlio l’ha terribilmente tradito nelle aspettative: superato l’ultimo esame di giurisprudenza, al momento della discussione della tesi non si era presentato alla sessione di laurea, lasciando la commissione esaminatrice interdetta e il padre stesso, presente in pompa magna, sprofondato nella più assurda delle situazioni. Robert, che l’austero genitore mai per alcun motivo avrebbe chiamato volgarmente Bob, viene respinto dalla famiglia, compatta nell’attribuire a Lulu tutta la colpa del suo comportamento inammissibile.
Bob ha ottenuto per sé la condizione che da sempre desiderava, vivere in mezzo alla gente comune, alle creature umili, sbandate, senza un futuro, come appunto Lulù e quella corte dei miracoli che affolla i locali della casa consumando una dopo l’altro fresche bottiglie di vino bianco. Una dimensione anarcoide forse, quantomeno fuori dai canoni, in cui sentirsi liberi da ogni convenzione e obbligo, lasciandosi trascinare dall’onda inebriante della vita.
“In fondo, se ciascuno di noi si incaricasse di rendere felice una sola persona, il mondo intero sarebbe felice”.
Perché un individuo con quelle caratteristiche avrebbe dovuto togliersi deliberatamente la vita? Il medico Charles Coindreau, cerca inconsapevolmente di ricalcare le sue orme.
“Raramente ho visto una giornata estiva più sfolgorante, il sole rifulgeva come i giorni precedenti e un venticello celestiale imprimeva al fogliame e agli abitini leggeri delle donne lo stesso fremito voluttuoso.”
Si sorprende a interrogarsi su cosa accadrebbe a lui se compisse un gesto così definitivo. Cosa direbbe la moglie, come commenterebbero gli altri. Per rendersi conto all’improvviso e con un filo di angoscia: “In realtà mi era appena venuto in mente un pensiero ben preciso. E se invece del corpo di Bob Dandurand avessero ripescato il mio dalla Senna, presso la chiusa di Vives-Eaux, che cosa avrebbe risposto Madeleine? Ho cercato di immaginare la sua risposta, quelle dei miei amici, dei miei pazienti, di tutti quelli che mi frequentano più o meno assiduamente e credono di conoscermi. Ho sentito un brivido corrermi lungo la schiena: all’improvviso mi sono reso conto di essere solo al mondo”.
La morale è che nessuno ci conosce davvero e che persino noi non conosciamo noi stessi:
“C’è da credere che l’uomo abbia scelto di vivere in società, giacché la società esiste, ma è anche vero che, da allora, l’uomo impiega buona parte delle sue energie e del suo ingegno a lottare contro di essa”.
