«Non sono solo le armi a uccidere a Gaza ma anche il silenzio internazionale che ormai grava sulla Striscia».
Queste le parole espresse pochi giorni fa da padre Gabriel Romanelli, parroco della chiesa della Sacra Famiglia a Gaza.
Ieri mattina un raid israeliano sulla parrocchia – che è l’unica della Striscia – ha causato tre morti e nove feriti, tra cui don Gabriel.
Difficile pensare si sia trattato di un “errore tecnico”…
Quando si arriva a colpire chi opera esclusivamente per la pace, dopo aver massacrato decine di migliaia di innocenti, si è oltre qualsiasi limite di decenza e umanità.
Soprattutto per chi si è sempre proclamato uno stato di democrazia e rispettoso dei diritti umani: colpire una chiesa e una comunità che si è sempre battuta in difesa degli ultimi e contro ogni forma di odio, discriminazione e violenza conferma l’assenza di qualsiasi morale. Significa che le vittime, pur avendo scelto di essere un punto di riferimento per valori di pace e solidarietà, sono diventate carnefici, cedendo alla logica dell’odio e della repressione.
Padre Gabriel Romanelli, prelato italo argentino di 55 anni appartenente alla famiglia religiosa del Verbo Incarnato, non ha mai esitato a esporsi per chiedere la fine delle atrocità nei confronti del popolo palestinese, Il parroco di Gaza rappresenta un esempio di dedizione e coraggio in uno dei contesti più difficili e violenti del Medio Oriente.
La sua perseveranza è un richiamo forte alla solidarietà internazionale. Tuttavia, nonostante il suo appello insistente, fatto proprio anche da Papa Francesco e rilanciato da Papa Leone, il governo italiano – che ora si compiace di mostrarsi solidale con la chiesa – non ha mai risposto alla sua richiesta di protezione e intervento per tutelare la popolazione palestinese sotto attacco dal 7 ottobre del 2023.
Da oltre un decennio, padre Gabriel ha scelto di vivere e lavorare nella Striscia, una terra dilaniata dai conflitti e dall’ingiustizia, dedicandosi con passione alla cura spirituale e umanitaria della sua comunità.
Nonostante due momenti di crisi e cedimento, il primo alla fine del 2023 e il secondo lo scorso maggio, non ha mai rinunciato al suo impegno. Oggi padre Gabriel, ferito lievemente a una gamba, ricorda quei momenti di vulnerabilità: l’immobilità nel salottino all’ingresso del Patriarcato latino di Gerusalemme, a fine 2023, quando, sopraffatto dalla nostalgia e dall’impotenza, si torceva la veste con le mani, incapace di lasciare Gaza per riunirsi con la sua gente; e poi, a maggio, quando i combattimenti attorno alla parrocchia si erano intensificati, e l’intera comunità – composta da 541 persone, tra cui una sessantina di bambini malati cronici e molti anziani debilitati – si era radunata nella chiesa, sotto le pallottole che fischiavano nel cortile. In tutte queste occasioni, padre Gabriel ha scelto di restare, condividendo con la comunità paura, speranza e fede.
È difficile restituire in poche parole l’umanità, il coraggio e la fede di un uomo che ha scelto di rimanere al fianco dei più deboli in uno scenario di guerra e distruzione. Padre Gabriel continua a essere, per tutti, un esempio vivente di come la vera fedeltà ai propri principi si manifesti anche nei momenti più difficili, dimostrando che l’amore e la speranza sono le armi più potenti contro l’odio e la violenza.
