Giornalismo sotto attacco in Italia

Anna Maria Mozzoni una maestra di democrazia e libertà

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Anna Maria Mozzoni (1837-1920) è stata certamente una delle prime e importanti protagoniste del femminismo italiano e della vita politica italiana e internazionale tra Otto e Novecento. Il suo poliedrico pensiero e insieme il suo impegno teorico civile e politico ce la fanno sentire vicina appassionata vitale, instancabile nel suo impegno prevalente per i diritti e la libertà delle donne. A centocinque anni dalla sua morte (14 giugno 1920) le dedichiamo, riconoscenti, questo lunedì della nostra rubrica “Dalla parte di lei”. Partiamo da alcune riflessioni che segnalano la sua modernità e anche lo stile ruvido di una donna “giornalista”:

«Che fa la penna in mano a una donna se non serve alla sua causa, come a quella di tutti gli oppressi?»

«Voi però [si rivolge agli uomini, ndr] della cui intelligenza non posso dubitare vedendovi qui, pensate che le idee sono possenti e fatali, espansive e contagiose – non temete le opposizioni; senza attrito non v’è scintilla, ridete dell’umorismo, non ve ne impressionate; non ne vale la pena – e pensate ad aggiungervi lena, che se noi libiamo la vita in un calice sovente amaro, le nostre figlie e le nostre nipoti, che respireranno in pieno petto l’aura inebriante della divina libertà, benediranno ai generosi conati di chi la preparò per loro.» (finale dai Diritti delle Donne, 1865, da un intervento di Anna Maria Mozzoni pubblicato a Milano, Società per le letture pubbliche Editrice; anche in Enciclopedia delle donne, in apertura alla voce Mozzoni).

Nasce a Milano in una famiglia colta, di origini aristocratiche ma di modesta ricchezza: per questo, come figlia femmina non ha la possibilità di studiare come i fratelli. La madre, Delfina Piantanida, appartiene all’alta borghesia milanese, mentre il padre Giuseppe è un matematico e un fisico.

Anna Maria entra a soli cinque anni nel collegio della Guastalla di Milano riservato “alle fanciulle nobili e povere”, e vi rimane per nove anni fino al 1851, ricevendo un’educazione bigotta e conservatrice che esalterà la sua propensione a promuovere la parità delle donne con gli uomini e a far cessare l’educazione diversificata che considera solo soffocamento delle voci femminili. Anna Maria avrà una figlia naturale o forse adottata, Bice a cui darà il suo cognome e che porterà con sé quando si trasferirà a Roma.

Rientrata in famiglia, continua i suoi studi da autodidatta, utilizzando la ricca biblioteca paterna. Tra le figure di riferimento vi sono Adelaide Cairoli che Anna Maria frequenta nonostante di idee distanti da lei: nota principalmente per il suo ruolo di madre patriota, sostenitrice della lotta per l’unità d’Italia e orgogliosa del contributo dei suoi figli alla causa risorgimentale. Tra le sue letture gli illuministi francesi e lombardi, i romanzieri e pensatori contemporanei (Mazzini, George Sand, Fourier, Saint-Simon, Condorcet e Beccaria).

Collabora con Salvatore Morelli (1824-1880), autore del celebre saggio La donna e la scienza o La soluzione del problema sociale (1861), definito come il primo libro sistematico sui diritti delle donne. A questo testo certamente Anna Maria fa riferimento nel 1864 quando pubblica la sua prima opera: La donna e i suoi rapporti sociali.

Ecco alcune righe di Salvatore Morelli riferite al suo testo:

La sua libertà individuale (della donna ndr) è in balìa della Sicurezza pubblica se vuole esercitare i più sacri fra i suoi diritti, i diritti del cuore anche nei limiti della convenienza sociale e senza offesa di alcuno. […] la donna, circondata di migliori guarentigie, rimarrà donna sorella, amica, madre di famiglia, feconda di luce, di moralità e di benessere, più di quanto poté mostrarsi finora nella umiliante condizione di schiava. […] Senz’andare più oltre dunque […] si accetti la necessità di ristabilire giuridicamente la dignità della donna. …

Non finisco senza dire alle donne: Care Signore, il mondo è di chi se lo sa prendere – Se voi volete la vostra posizione giuridica, dovete conquistarvela… Riscuotetevi, associatevi con le consorelle d’oltremonti e d’oltremari per imporre ai legislatori una legge moralizzatrice ed emancipatrice, … proclamando con la Religione della Scienza l’esaltamento del proprio sesso, aggiungendo alle virtù naturali che vi decorano, l’aureola sublime di un’epopèa rigeneratrice!” (pag. 321 sgg.).

 

Morelli conclude con questo appello che ritroviamo nell’impegno di Anna Maria fin dall’inizio, anzi forse fu proprio lei a proporglielo! Aveva già intuito, sotto l’influenza di Charles Fourier (1772/1837), che il lavoro e l’istruzione per le donne erano la chiave per la loro emancipazione.

Un’altra influenza importante per Mozzoni è stato John Stuart Mill (1806/1873), filosofo inglese militante del suffragismo, del quale traduce nel 1870 il noto scritto The subjection of women. Anche da queste frequentazioni viene la spinta e l’impegno politico soprattutto con lo strumento della “petizione popolare” che pensa abbia un duplice valore: organizzare le donne e stabilire un rapporto “paritario” con il Parlamento e anche con i partiti politici per l’estensione del diritto di voto alle donne.

La prima petizione nell’Italia Unita è delle donne lombarde per estendere ai territori del Regno i diritti di cui esse godevano sotto la dominazione austriaca a cominciare dal diritto di voto amministrativo. È il 1861, ecco l’incipit: “Se Dio ha posto nell’uomo un’irresistibile tendenza alla libertà, perché nell’uso della libertà diventi migliore […] Le sottoscritte cittadine italiane fanno istanza perché nel nuovo Codice civile italiano, alle donne vengano estesi i diritti riconosciuti fino ad oggi alle donne Lombarde”.

Fu reiterata più volte ma non ci fu risposta dal Parlamento. Il sasso sarà rilanciato da Anna Maria che nel 1877, rifacendosi anche ad esperienze inglesi francesi statunitensi, presenta una petizione al governo per il voto alle donne, la prima di una lunga serie ad essere bocciata. Ma non si arrese mai. Fino alla presentazione di un’ultima petizione il 16 maggio 1906.

Quest’ultima è corredata da diecimila firme tra cui venti donne di prestigio, come Teresa Labriola (1874/1941) e Maria Montessori (1870/1952) che, non solo aderisce all’iniziativa ma il 26 febbraio 1907 lancia un appello, un Proclama alle donne Italiane, attraverso le pagine del settimanale cattolico «La Vita» fondato nel 1897.

DONNE TUTTE SORGETE!

Il vostro primo dovere in questo momento sociale è di chiedere il voto politico. La legge italiana è la più equa nel mondo civile e la più umanitaria: fatele onore. … iscrivetevi alle liste elettorali….

Il diritto di voto è rivendicato, (si legge nella petizione),

perché nessuna legge lo vieta … e perché siamo cittadine, perché paghiamo tasse e imposte, perché siamo produttrici di ricchezza, perché paghiamo l’imposta del sangue nei dolori della maternità, perché infine portiamo il contributo dell’opera e del denaro al funzionamento dello Stato. …”

La proposta Mozzoni sarà presa in esame a lungo nel febbraio 1907 dalla Camera dei Deputati, nell’ambito della vasta e lunga discussione sulla riforma elettorale, che sfocerà poi nell’approvazione del cosiddetto “suffragio universale”. Presidente del Consiglio è Giolitti, se ne discuterà anche nella commissione da lui nominata nel 1908, proprio mentre si apre il Congresso Nazionale delle donne italiane promosso da una serie di organizzazioni femminili con sede a Roma e a Milano. I comitati pro voto si erano formati nelle maggiori città italiane ed erano collegati con l’International Woman Suffrage Alliance che nasce nel 1902 a Washington.

Alla fine la legge approvata nel 1912 estende il diritto di voto a tutti gli uomini adulti a prescindere dal censo, anche agli analfabeti. Si chiamò suffragio universale: votarono otto milioni di elettori tutti maschi, ma le donne NO.

Anna Maria Mozzoni a Milano insegna filosofia morale nella Scuola Superiore femminile “Maria Gaetana Agnesi”, avviata insieme a Maria Antonietta Torriani (1840/1920), insegnante di letteratura, più tardi giornalista e scrittrice col nome di Marchesa Colombi. Entrambe parlano e agiscono con la stessa indipendenza, convinte dell’importanza di una nuova istruzione per la libertà delle donne organizzano un ciclo di conferenze sull’arte, la letteratura e l’educazione. La Torriani nel saggio “Della letteratura nell’educazione femminile”, del 1871, approfondisce la questione della lettura e della cultura come elementi di un percorso di formazione femminile, in sintonia con il pensiero di Mozzoni. Assieme al marito, la Marchesa Colombi nel 1876 fonderà il «Corriere della Sera»: sarà la prima firma femminile.

Mozzoni collabora al quindicinale milanese dei Liberi pensatori cristiani, «La riforma del secolo XIX», che pubblica una sua lettera, inviata all’inglese Joséphine Butler (1828/1906), con la quale avvia uno dei primi tentativi di inchiesta sulla prostituzione in Italia, partendo da una grave malattia come la sifilide che si trasmette nei rapporti sessuali e dunque utilizzata per condanne fisiche e morali. Partecipa nel 1877 al Congresso di Ginevra, che ha come scopo l’abolizione delle norme sulla prostituzione, ed è tra i membri della commissione giuridica assieme a Giuseppe Nathan (1848/1881). Mozzoni reputava che tali norme privassero le donne prostitute della loro dignità: una “indegna schiavitù”. In tale occasione pronuncia un breve discorso all’Assemblea generale per una legislazione sulla questione della ricerca della paternità.

La sua esperienza in merito ai problemi pedagogici relativi all’istruzione femminile la porta ad avere incarichi presso il ministero della Pubblica Istruzione presieduto da Francesco De Sanctis. Nel 1879 entra a far parte della Lega della Democrazia, con Jesse White Mario (1832/1906) che, naturalizzata in Italia ne seguirà le vicende risorgimentali. Tra le varie attività di conferenze e scritti di questo periodo spicca un’interessante lettera aperta indirizzata a Matilde Serao (1856/1927), di cui deplora le idee monarchiche e non proprio femministe, pubblicata su «La Lega della democrazia», giornale orientato a una sinistra radicale.

Non entrò mai direttamente in un partito, non con i mazziniani e nemmeno con i socialisti, rimanendo sul crinale dentro/fuori. Partecipò alla discussione e preparazione del congresso di fondazione del Partito socialista a Genova 1892, con l’associazione indipendente da lei avviata nel 1888 la «Lega promotrice degli interessi femminili». Motivò la sua non adesione così: “i socialisti pensano che la questione femminile si risolverà da sola per effetto della soluzione della questione economica e sociale. Per loro, l’emancipazione dei lavoratori porterà con sé l’emancipazione della donna…”.

Mozzoni non è d’accordo e pensa, “con una certa tristezza, che si dovrà aspettare una seconda generazione di socialisti” perché in questo partito la sensibilità ai diritti delle donne possa affermarsi. Il momento culminante del rapporto con il Partito socialista è il conflitto che nel 1898 la oppone ad Anna Kuliscioff sulla legislazione di tutela del lavoro femminile. Pensava che la tutela non avrebbe modificato il ruolo della donna in generale. “Ti danneggio in quanto ti aiuto” segnala una divisione politica tra le donne che ritroviamo anche nei primi decenni della Repubblica e forse ancora oggi.

Anna Maria Mozzoni scrive una lettera a «l’Avanti!», pubblicata il 7 marzo 1898, col titolo Legislazione a difesa delle donne lavoratrici. Sostiene che l’azione di tutela delle lavoratrici mira in realtà a salvaguardare la funzione delle donne nella famiglia, e a proteggere il lavoro maschile limitando la concorrenza delle donne con una serie di divieti (lavoro notturno, straordinari, lavori pesanti, ecc.). La sua tesi è che il diritto al lavoro delle donne non debba essere limitato per legge, e che debbano essere le lavoratrici a lottare per migliorare le condizioni di lavoro, su un piede di parità con i colleghi maschi. “Dagli amici mi guardi Iddio! Non accettate protezioni, esigete giustizia”, è il suo appello alle donne.

Le risponde Anna Kuliscioff, con un articolo intitolato In nome della libertà delle donne Laissez faire, laissez aller: difende la necessità di regolare il lavoro delle donne per evitarne lo sfruttamento e l’accusa di liberismo, di convergenza con i padroni che non vogliono la legge per avere mano libera. Quante volte si è riprodotto, nel movimento femminista, questo dissidio tra chi guarda in primo luogo alla tutela del soggetto donna che si pensa debole e chi invece guarda ai diritti e alla forza che deriva dall’affermarli ed esercitarli in modo autonomo. Ma il principale obiettivo politico del femminismo dell’epoca era, e non poteva non essere, il voto, come abbiamo già detto.

Fu un’agitatrice politica, Mozzoni, forse l’unica femminista italiana accostabile alle suffragette inglesi e americane. Si può sostenere che Anna Maria Mozzoni si muove nel mondo dei nuovi partiti dell’Italia Unita con un pensiero politico forte e coerente che ne segnala altresì l’attualità. La sua intransigenza cocciuta, che si rivela nell’articolo dell’«Avanti», è la sua scelta più forte: quella di perseguire l’emancipazione/libertà femminile come obiettivo politico autonomo che richiedeva una organizzazione politica altrettanto autonoma. Dotata di cultura e intuizione politica, vide tutti i legami dell’emancipazione femminile con il generale movimento di affermazione dei diritti, proprio della modernità; e ne vide anche la dipendenza dal diffondersi della produzione industriale e quindi del lavoro delle donne. Perciò fu alleata di quanti si facevano paladini dei diritti e della questione sociale.

Ma non accettò mai l’idea che l’emancipazione della donna fosse un effetto automatico del conseguimento di un altro obiettivo come ad esempio l’Italia Unita (la Patria), per i mazziniani, o l’avvento al potere della classe operaia, per i socialisti. La rivendicazione dei diritti della donna era per lei la più vasta e radicale delle questioni sociali, e per questo poteva essere coordinata, ma mai subordinata ad altre rivendicazioni, ad altre rivoluzioni. Pensava che dovessero essere le donne a proporre le riforme, organizzate a questo scopo; perché “i diritti e le libertà ottenute in dono sono illusorie”.

Il Settecento fu il secolo della crescita dell’alfabetizzazione e dell’istruzione femminile: esemplare e profetica già nel giugno 1678 a Padova si laurea la prima donna, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (1646/1684). Anche nel settore più innovativo della scrittura, del giornalismo, non mancarono le voci femminili che nell’800 si intensificarono inaugurando altresì un giornalismo femminile che già Luisa Bergalli (1703/1779), il cui profilo è stato curato nel giugno 2022 per “Dalla parte di Lei” da Adriana Chemello, a Venezia pubblica l’Almanacco delle donne ancora nel 1750.

Anna Maria Mozzoni, vicina alle posizioni repubblicane e mazziniane, nel 1871 viene chiamata a Roma da Mazzini per collaborare a «La Roma del Popolo». Scriverà diversi articoli tra i quali La questione dell’emancipazione della donna in Italia e È, la Comune, possibile solo a Parigi (il riferimento è alla breve esperienza di autogestione politica che a Parigi si sperimenta per pochi mesi proprio nel 1871). Dal 1870 al 1890 scrive per il giornale «La Donna», il primo periodico di sole redattrici, fondato a Padova nel 1868 da Gualberta Alaide Beccari (1842/1906). “Parleremo dei doveri e dei diritti; la donna buona, saggia, onesta cittadina, laboriosa è lo impulso alla civilizzazione di un popolo; ambiziosa, vana, civetta, concorre a formare viziata la società”. Queste parole aprono il primo numero della rivista.

Mozzoni nel 1876 scrive a S. Morelli una lettera Sulla riforma delle scuole rurali: sarà pubblicata su «La Donna».

Anna Maria Mozzoni nel 1878 rappresenta l’Italia al Congresso internazionale per i diritti delle donne a Parigi. Nel 1881 fonda la Lega promotrice degli interessi femminili, che si batte per il diritto di voto alle donne. Nell’opuscolo Alle fanciulle, del 1884, spiega perché le ragazze, qualunque sia la loro condizione sociale, si devono impegnare nella battaglia per l’emancipazione e la libertà. Le parole che usa nello scritto dedicato alle fanciulle e alle figlie del popolo, risultano inequivocabili:

Per te, o donna del popolo, che cosa è la patria? E’ il gendarme che viene a prendere tuo figlio per farlo soldato, è l’esattore che estorce la tassa del fuocatico dal tuo focolare quasi sempre spento, è la guardia daziaria che ti fruga addosso per assicurarsi che tu non abbia risparmiato qualche soldo sul pane sudato per i tuoi figli, è il lenone e la megera che, protetti dal governo, inseguono la tua figlia per trarla nelle loro reti, è la guardia di questura che la trascina all’ufficio sanitario, è il postribolo patentato che la ingoia, è la prigione, il sifilocomio, il patibolo, … è la legge che dà i tuoi figli in proprietà a tuo marito e che dichiara te stessa schiava e serva di lui. Delle glorie di questa patria, delle sue gioie, dei suoi beni, dei suoi favori neppure uno arriva fino a te.”

Anna Maria, collocata politicamente alla sinistra della democrazia repubblicana, fu una convinta mazziniana, anche per il ruolo fondamentale che Giuseppe Mazzini riservava all’educazione nella rigenerazione sociale e politica dell’Italia Unita. In questo scritto, riecheggia il richiamo di Mary Wollstonecraft (Londra 1759/1797) all’importanza dell’educazione come preludio di una “donna nuova”, (suo il Manifesto femminista pubblicato nel 1792).

L’apparato di virtù, bellezza e sapere imposto alle ragazze del suo tempo di classe sociale elevata aveva per la Mozzoni un solo scopo: «adornare la parola e imprimere una certa eleganza alle maniere e in tutte le manifestazioni, come si addossa al cavallo una ricca gualdrappa. Come questo si adorna per onorare il padrone, così tu eri adornata per appagare la vanità del tuo futuro marito».

Si sposerà solo nel 1886 con un procuratore, molto più giovane di lei, il conte Malatesta Covo Simoni, con il quale nel 1894 si trasferisce a Roma portando con sé anche la figlia Bice.

Muore in questa città il 14 giugno 1920, ormai da tempo appartata dalla lotta politica.

«L’Avanti!» del 18 giugno le dedica un necrologio:

Alla prima alba di lunedì 14, è morta al Policlinico, in età di anni 83, la signora Anna Maria Mozzoni, vedova Malatesta, che fu a suo tempo, se non la prima, certo una delle più geniali e più amabili assertrici dei diritti e della emancipazione femminile in Italia. A Milano, dove svolse quarant’anni fa la sua migliore attività e la sua più utile propaganda, era assai conosciuta. Fu grande amica di Agostino Bertani (1812/1886 – fondatore dell’estrema sinistra storica detta anche Partito della Democrazia ndr), col quale collaborò intensamente alla compilazione del Codice di Sanità e nei primi albori del movimento socialista fu una delle poche personalità che ne seppero comprendere e coraggiosamente difendere le ragioni. Invecchiata ed ormai fuori dalla vita militante, aderì alla guerra più forse per atavica tradizione della famiglia patriottica fin dai tempi della dominazione austriaca in Lombardia che per convinzione, ma rispettò il contegno dei socialisti coi quali mantenne sempre buoni rapporti di amicizia e di stima. Si è spenta oscuramente, ma le tracce della sua opera di un tempo restano incancellabili nella storia della causa femminile e la sua memoria rimane simpatica ed indelebile nell’animo dei vecchi amici che le sopravvivono”.

Il tono ambiguo e anche irrispettoso di queste righe dice che il tempo della Mozzoni era ormai finito, anche prima della sua morte. C’è freddezza senza gratitudine per una donna importante come fu Anna Maria Mozzoni anche per i socialisti. Forse la cesura della guerra aveva allontanato in un lontano passato la generazione risorgimentale a cui si legavano i suoi obiettivi e le sue lotte.

Fu a lungo dimenticata. Il suo pensiero fu davvero poliedrico e il suo impegno tenace forte e attuale: una autentica maestra di democrazia e di libertà.

 

 

 


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