Giornalismo sotto attacco in Italia

La protesta dei magistrati e l’autoritarismo dietro l’angolo

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“Della protesta di magistrati ed avvocati durante l’apertura dell’anno giudiziario colpisce prima di tutto la reazione del Governo, ancora una volta nel segno dell’autoritarismo sempre meno strisciante e sempre più altisonante. Il concetto espresso dai destri è ormai tristemente familiare e soltanto formalmente vestito di furbizia retorica, infatti dentro le parole “E’ il Parlamento che fa le Leggi, i magistrati si adeguino” il senso è “chi vince le elezioni, comanda e decide quello che vuole” … anche travolgendo il perimetro fissato dalla Costituzione repubblicana. Quel perimetro che ha collocato, fino ad ora, l’Italia nel gruppo delle democrazie liberali fondate sul suffragio universale e sulla divisione dei poteri. Il motto “chi vince, comanda” già caro al mai abbastanza compianto Berlusconi ed ovviamente a tutti i fascisti mai pentiti che hanno colonizzato la Repubblica fin dal suo nascere, segnala la trasformazione della “costituzione materiale” del nostro Paese, premessa alla riscrittura anche formale della Costituzione stessa: non più una organizzazione sociale basata sulla preminenza del diritto, sulla Costituzione “rigida” che presidia la libertà attraverso un puntuale sistema di bilanciamenti e controlli incrociati, ma una organizzazione sociale basata sul diritto del più forte a fare quel che vuole, senza alcun rispetto per limiti prestabiliti dal diritto costituzionale e men che meno dal diritto sovranazionale (cfr centri in Albania e generale libico). Che poi il diritto a comandare del più forte sia sancito da un suffragio universale sempre più condizionato da enormi concentrazioni economiche e tecnologiche fuori controllo di oligarchie variamente combinate (a noi “gobettiani-di-ferro” ci hanno fatto orrore sempre tutti i “trust” di potere economico-mediatico, comunque colorati), poco pare importare ormai. Deve essere chiaro che questa resistenza civile di tanti operatori del diritto ha a che fare con la libertà individuale e con la pretesa di giustizia sociale ordinata alla Repubblica dall’art. 3 della Costituzione: non è una battaglia corporativa, è una battaglia democratica, universale. Ce lo ha ricordato con parole ferme e limpide ancora ieri pomeriggio (sabato, per chi legge) a Torino il procuratore Gian Carlo Caselli che ha preso la parola in una affollata assemblea di Libera, con la coccarda tricolore ancora appuntata sul bavero della giacca, richiamando tutti, con parole che mi hanno ricordato quelle del giudice Borrelli, ad una adeguata, urgente, corale resistenza. Perché l’Italia non precipiti in una notte nera dove tutto si confonde, tutto è banalizzato e messo sullo stesso piano. Come al Famedio di Milano dove uno dopo l’altro stanno i nomi di Borrelli e Berlusconi.
(Nella foto Gian Carlo Caselli)


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