Rotta balcanica: i morti senza nome ai confini d’Europa

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Inizialmente sperava di trovare suo figlio in un campo per rifugiati. Dopo averlo cercato per tre settimane, si era preparato anche alla possibilità di trovarlo in un ospedale.

Mai però si sarebbe aspettato di ritrovare il suo corpo in un cimitero.

Quando un agente con il distintivo della polizia bulgara gli aveva mostrato una foto di suo figlio che giaceva esanime sull’erba, si era sentito mancare la terra sotto i piedi. “Avrei voluto almeno vedere Majd un’ultima volta. Ancora non riesco a credere che la persona sepolta in questa tomba sia mio figlio”, afferma Husam Adin Bibars.

Husam, 56 anni, rifugiato siriano, padre di cinque figli, per ventidue giorni aveva cercato di rintracciare Majd da remoto, per poi decidere di spendere i pochi soldi risparmiati per fare un viaggio, che dalla Danimarca lo avrebbe portato in Bulgaria, alla ricerca di suo figlio. Era però troppo tardi.

Giunto in Bulgaria, Husam è venuto a sapere che il corpo di Majd, all’epoca ventisettenne, era stato inumato a soli quattro giorni dal ritrovamento. Majd era stato sepolto come persona non identificata. Non c’era nulla che indicasse che il corpo deposto sotto quel mucchio di terra, che Husam avrebbe visitato in seguito, appartenesse a suo figlio.

“Abbiamo sentito dire che l’Europa è una terra di libertà, democrazia e diritti. Che fine hanno fatto i diritti umani se non ho potuto vedere mio figlio prima della sua sepoltura?”, chiede Husam sobriamente.

I morti non identificati

Majd era giunto in Bulgaria passando dalla Turchia con un gruppo di circa venti persone, sperando di ricongiungersi con i suoi genitori e fratelli in Europa, per poi far arrivare anche la moglie incinta e la figlia Hannah.

Verso la fine di settembre [del 2023] Majd aveva smesso di rispondere a chiamate e messaggi. Successivamente, un trafficante ha raccontato a Husam che Majd si era ammalato, e quindi lo avevano lasciato indietro. Le autorità hanno detto a Husam che suo figlio è morto di sete, stanchezza e freddo.

Negli ultimi anni, i paesi dei Balcani – con il sostegno finanziario dell’UE e un maggior coinvolgimento dell’agenzia Frontex – hanno intensificato i controlli alle frontiere, costruendo recinzioni e ricorrendo a droni e altri meccanismi di sorveglianza. Anziché scoraggiare i rifugiati, queste misure li costringono a intraprendere percorsi più lunghi e pericolosi.

Un’inchiesta condotta da Solomon – in collaborazione con Lighthouse ReportsDer Spiegel, la televisione pubblica tedesca ARD, il quotidiano britannico e Radio Free Europe – dimostra che i rifugiati vengono trattati in modo ostile ai confini d’Europa sia da vivi che da morti.

Abbiamo scoperto che dall’inizio del 2022 i corpi senza vita di 155 persone, che si presume fossero migranti, sono finiti negli obitori vicino alle frontiere lungo la rotta che attraversa tre paesi: Bulgaria, Serbia e Bosnia Erzegovina.

Stando ai dati raccolti, nel 2023 il numero di morti è aumentato del 46% rispetto al 2022.

Nei Balcani, oltre che con un clima avverso, le persone in movimento devono fare i conti con i respingimenti, la crescente violenza delle guardie di frontiera e dei trafficanti, i furti e persino la detenzione in carceri segrete.

I familiari delle persone scomparse o morte lungo la rotta dei Balcani sono costretti a cercare i loro cari negli obitori e negli ospedali, appoggiandosi ai gruppi creati appositamente su Facebook e WhatsApp. Una sfida altrettanto ardua è quella di scavalcare il muro dell’indifferenza delle autorità.

Dall’inchiesta è emerso che in Bulgaria i familiari dei migranti spesso sono costretti a pagare tangenti per ottenere informazioni sui loro cari scomparsi.

Le dieci principali rivelazioni dell’inchiesta

• Nel 2022 il numero di persone che hanno attraversato i Balcani nel tentativo di raggiungere l’Europa occidentale ha raggiunto la cifra più alta dal 2015: l’agenzia Frontex ha registrato 144.118 attraversamenti irregolari delle frontiere.

• Nel 2023 il numero di attraversamenti è sceso a 79.609 (dati aggiornati a settembre), restando comunque ben al di sopra della cifra registrata nel 2019 (15.127) e di quella del 2018 (5.844).

• La rotta balcanica è più pericolosa che mai: in assenza di un sistema di registrazione centralizzato, la piattaforma Missing Migrants  dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni suggerisce che nel 2022 lungo la rotta dei Balcani sono morte e scomparse più persone che nel 2015.

• Stando ai dati raccolti nell’ambito della nostra inchiesta, almeno 155 corpi non identificati sono finiti in sei obitori lungo un tratto della rotta balcanica che attraversa la Bulgaria, la Serbia e la Bosnia Erzegovina. La maggior parte dei cadaveri (92) è stata recuperata nel 2023.

• Nel 2023 il numero di morti è aumentato del 46% rispetto al 2022.

• Alcuni obitori in Bulgaria (Burgas, Jambol) fanno fatica a trovare spazio per i cadaveri dei rifugiati; in altri, in Serbia (Loznica), non c’è spazio alcuno.

• Questa carenza contribuisce alla tendenza a seppellire i corpi non identificati nelle cosiddette tombe “senza nome” a pochi giorni dal ritrovamento, precludendo così alle famiglie la possibilità di trovare i loro cari.

• In Bulgaria, alcune famiglie ci hanno raccontato che, durante la ricerca dei loro cari, hanno dovuto corrompere non solo il personale delle strutture ospedaliere e obitoriali, ma anche le guardie di frontiera. Le nostre fonti confermano questa pratica, di cui abbiamo prova in formato audio.

• In Bosnia, dall’inizio del 2023 [al momento della pubblicazione di questo articolo] almeno 28 persone, che si presume fossero rifugiati, sono morte nel fiume Drina, cifra di gran lunga superiore a quelle registrate negli anni precedenti (cinque nel 2022 e tre nel 2021).

• La burocrazia e la mancanza di interesse da parte degli stati coinvolti ostacolano i tentativi di identificare i rifugiati morti.

Causa di morte sconosciuta

Cosa puoi fare se si perdono le tracce del tuo fratello minore, ma non hai la possibilità di andare a cercarlo a causa dello status di cui godi nel paese in cui vivi?

Asmattulah Sediqi, 29 anni, richiedente asilo, si trovava nel suo alloggio nel Regno Unito quando i compagni di viaggio di suo fratello minore lo hanno informato che Rahmattulah, all’epoca ventiduenne, con ogni probabilità era morto.

Il ministero dell’Interno del Regno Unito non ha consentito ad Asmattulah, proprio a causa del suo status di richiedente asilo, di recarsi in Bulgaria per cercare suo fratello. Anche Asmattulah aveva attraversato la Bulgaria nel suo viaggio verso l’Europa occidentale.

Quindi, ci è andato un suo amico. La polizia bulgara però non ha voluto fornirgli alcuna informazione. Secondo la testimonianza di Asmattulah, il personale di un obitorio ha chiesto 300 euro al suo amico per mostrargli alcuni cadaveri.

“In queste situazione bisognerebbe aiutare chi è in difficoltà – afferma Asmattulah – per loro invece esistono solo i soldi. Delle vite umane non gliene frega nulla”.

Alla fine Asmattulah è riuscito a prendere in prestito la somma richiesta e nel luglio 2022, cinquantacinque giorni dopo la scomparsa di suo fratello, l’ospedale di Burgas ha confermato che uno dei corpi conservati nell’obitorio apparteneva a Rahmattulah. Poi Asmattulah ha dovuto prendere in prestito altri 3000 euro per il rimpatrio della salma di suo fratello in Afghanistan, dove la aspettavano i loro genitori.

Una domanda però continua ad assillare Asmattulah – non ha mai scoperto come e perché suo fratello è morto.

Le autorità bulgare non gli hanno mai fatto vedere i risultati dell’autopsia perché non aveva un visto per recarsi in Bulgaria. “Quando la polizia lo ha trovato nel bosco, hanno scattato alcune foto, ne sono certo. Non sapere cosa sia successo a mio fratello è molto doloroso. È devastante”.

“Nessuna denuncia”

Nell’ambito dell’inchiesta condotta da Solomon insieme ai suoi media partner, alcune persone hanno raccontato di essere state costrette a corrompere il personale dell’obitorio dell’ospedale di Burgas per scoprire se i corpi dei loro familiari fossero tra quelli conservati nella struttura.

Alla domanda dei giornalisti di Solomon se fosse a conoscenza di queste pratiche, Galina Mileva, direttrice del dipartimento di medicina legale dell’ospedale di Burgas, ha risposto di non aver mai ricevuto “alcuna segnalazione o denuncia di tali episodi”, precisando che “l’identificazione dei corpi avviene sempre in presenza di un agente di polizia coinvolto nelle indagini e di un esperto forense”.

Nella sua risposta, l’amministrazione dell’ospedale ha anche affermato che non vi è alcuna disposizione di legge che permetta al personale ospedaliero di chiedere soldi ai familiari delle persone scomparse per la procedura di identificazione dei cadaveri.

“Vi invitiamo ad inviare queste denunce a noi e alle autorità inquirenti attraverso le vie ufficiali. Qualora dovesse essere accertata l’esistenza di tali pratiche, i dipendenti [dell’ospedale] saranno chiamati ad assumersi la loro responsabilità”, si legge nella risposta dell’ospedale di Burgas.

“Ci chiedono soldi in continuazione”

Un’altra persona, i cui familiari si erano recati in Bulgaria alla fine del 2022 in cerca di un membro della famiglia, ci ha raccontato che, dopo aver dato soldi al personale di un obitorio per poter vedere i cadaveri, la sua famiglia è stata costretta a corrompere anche le guardie di frontiera. Altrimenti le sue richieste non sarebbero mai state prese sul serio.

Quando i familiari della persona con cui abbiamo parlato hanno chiesto di prendere visione delle fotografie di persone trovate morte, le guardie di frontiera hanno risposto di non avere tempo di mostrargliele. Quando poi la famiglia ha accettato di pagare 20 euro per ogni foto mostrata, le guardie hanno improvvisamente trovato tempo.

Georgi Voynov, avvocato del Comitato di Helsinki per i diritti umani in Bulgaria  , conferma che alcune persone si sono rivolte al Comitato denunciando i casi in cui gli ospedali hanno chiesto loro ingenti somme di denaro per confermare che tra i corpi ritrovati c’erano anche quelli dei loro cari.

“Denunciano il fatto che, durante il percorso [di ricerca dei loro cari] vengono loro chiesti soldi ad ogni passo”, spiega Voynov.

Anche altre organizzazioni internazionali, tra cui la Croce Rossa, affermano che alcune persone a cui hanno fornito sostegno sono state costrette a corrompere il personale delle strutture ospedaliere e obitoriali.

“Siamo consapevoli del fatto che questo personale è sopraffatto e deve essere ricompensato per ogni lavoro straordinario che svolge. Ma questo dovrebbe essere fatto in modo conforme alla legge”, ha commentato un funzionario della Croce Rossa bulgara che ha preferito mantenere l’anonimato.
Da https://www.balcanicaucaso.org/

 


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