La tacita diarchia tra Usa e Cina

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Il mondo non vedeva tanti focolai di guerra da 80 anni. C’è la guerra in Israele, a Gaza, in Cisgiordania, Libano, Siria, Iraq, Mar Rosso. Piovono bombe e si spara non solo in Medio Oriente ma anche in Europa. La sanguinosa guerra tra Russia e Ucraina dura quasi da due anni, da quando Vladimir Putin ordinò l’invasione il 24 febbraio 2022. La guerra in Israele scatenata da Hamas il 7 ottobre scorso sta contagiando vaste aree del Medio Oriente. Le atrocità commesse nei due conflitti lasciano il mondo attonito.

Ogni tanto si parla di negoziati, di cessate il fuoco, di pace ma per ora i combattimenti proseguono. Anzi, c’è il rischio di un allargamento del conflitto sia in Medio Oriente e sia in Europa mentre in America Latina i narcotrafficanti dettano legge in Ecuador, Messico, Perù e Colombia a colpi di mitra, bombe e bazooka.

Il politologo statunitense Ian Bremmer commenta: «L’America cerca disperatamente di evitare la guerra, ma è sola». Non è esattamente così. Washington e Mosca per decenni preservarono complessivamente la pace dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale con “l’equilibrio del terrore” basato sui rispettivi arsenali atomici. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 cambiò tutto: gli Stati Uniti divennero l’unica superpotenza egemone nel mondo. Ma da qualche anno non è più così: Vladimir Putin ha voluto mettere in discussione il predominio americano e Xi Jinping ha avanzato la candidatura della Cina a guidare il “sud globale”. Il presidente della Repubblica Popolare Cinese, forte del gigantesco boom economico del Dragone ora un po’ in difficoltà anche per la guerra, ha lanciato il guanto di sfida a Joe Biden per la supremazia mondiale.

Da qualche anno è aperta la contesa tra chi comanda. Gli attriti politici e commerciali tra Washington e Pechino si sono moltiplicati, Xi Jinping ha stipulato una alleanza di ferro con Putin in funzione anti Occidente. Tenta l’intesa con l’India; tratta con i paesi islamici del Medio Oriente; cerca la penetrazione economica in Asia, Africa e in America Latina a caccia di nuovi mercati e di materie prime per la sua potentissima industria.

Cresce pericolosamente la tensione internazionale: la guerra in Israele e quella in Ucraina rischiano un pericoloso allargamento. Tuttavia, nonostante tante stragi e lutti anche tra le popolazioni civili, finora non c’è stato il catastrofico ampliamento dei due tragici conflitti. Gli Usa, pur appoggiando l’Ucraina e Israele, si sono spesi per frenare Zelensky e Netanyahu. Xi Jinping ha fatto altrettanto pur parteggiando per la Russia e Hamas. Finora è stata scongiurata la follia della Terza guerra mondiale.

Probabilmente è stato determinante il lunghissimo, teso ma dialogante incontro Biden-Xi di San Francisco. Nel faccia a faccia di ben quattro ore dello scorso novembre in una tenuta vicina a San Francisco il primo parla di competizione escludendo un conflitto con la Cina. Xi Jinping? A Biden gli scappa “dittatore” ma precisa: «Mi fido e verifico». Il leader cinese smussa gli angoli: «Il mondo è abbastanza vasto per tutti e due».

Il presidente americano e quello cinese riescono perfino a trovare una intesa sul clima. Non a caso le due superpotenze, dopo i tanti no del passato, a dicembre danno il disco verde all’accordo di principio raggiunto dalla Cop 28 a Dubai per mettere la parola fine ai carburanti fossili, altamente inquinanti, entro il 2050.

Emergono i segnali di una sostanziale diarchia tra gli Usa e la Cina, tra il paese campione del capitalismo e della democrazia, e la nazione che riesce miracolosamente a conciliare capitalismo e comunismo (Xi parla di «democrazia con caratteristiche cinesi»).

È partito un difficile dialogo a due. Ancora manca un perimetro ufficiale d’intesa. Muove però i primi prudenti passi una diarchia tacita Usa-Cina, non declamata, ancora da costruire con tutte le ricadute bilaterali e internazionali.

L’incognita più forte si chiama Taiwan. Nell’agosto del 2022 si sfiorò perfino uno scontro militare. Xi Jinping vuole la riunificazione dell’isola (è considerata una “provincia ribelle”) con le buone o con le cattive. Joe Biden difende la sovranità di Taiwan pur riconoscendo l’esistenza di una “sola Cina”. È un difficile pattinaggio. Un altro scossone arriva il 13 gennaio con l’elezione a presidente dell’isola di William Lai, il candidato autonomista osteggiato da Pechino. «Non sosteniamo l’indipendenza di Taiwan» assicura l’inquilino della Casa Bianca per tranquillizzare il Dragone. Le due superpotenze sono prudenti. Non a caso Xi Jinping protesta ma non più di tanto per i bombardamenti anglo-americani delle basi nello Yemen degli Houthi, solidali con Hamas. Gli Houthi colpiscono le navi nel Mar Rosso. È il realismo della diarchia tacita Usa-Cina.


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