Ferruccio Laffi: la memoria è Libertà. L’eredità morale dell’ultimo superstite delle stragi di Monte Sole

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Sono centinaia le persone che stanno portato l’ultimo saluto a Ferruccio Laffi nella camera ardente allestita nel Sacrario dedicato alle 775 vittime innocenti, la maggior parte bambini, donne, anziani, della strage nazifascista di Marzabotto in attesa del funerale che sarà celebrato dall’arcivescovo di Bologna il cardinale Matteo Maria Zuppi nella chiesa del Santissimi Giuseppe e Carlo di Marzabotto. Era l’ultimo superstite delle stragi di Monte Sole, l’ho conosciuto grazie ad una brava giornalista Margherita Lollini che mi invitò alla presentazione del libro Io sopravvissuto di Marzabotto, che dovrebbe diventare testo in tutte le scuole per non dimenticare. E’ la storia di Ferruccio Laffi, classe 1928, allora sedicenne quando il 30 settembre 1944 perse i quattordici famigliari con cui viveva nel podere di Colulla di sotto nella campagna tra Marzabotto e Sperticano. Quella mattina il padre si accorse dell’arrivo delle truppe tedesche comandate dal maggiore Walter Reder, accompagnate dalle camice nere, lo mandò ad avvisare i partigiani del loro arrivo. Quando Ferruccio seppe che erano già stati informati decise di tornare al podere, i partigiani non lo lasciarono andare e gli salvarono la vita, solo alla notte l’accompagnarono a Colulla di sotto. Prima videro la casa bruciata, poi nell’aia trovarono i famigliari uccisi ma non solo, i corpi erano stati massacrati. Dal 29 settembre al 5 ottobre nelle tante stragi di Monte Sole, dove oggi vi è la Scuola di Pace voluta da don Dossetti, furono sterminate 1830 persone. Per cinquant’anni Ferruccio non ha parlato di quei fatti, solo nel 2012 ha iniziato a dare testimonianza diventando un simbolo per tutta la comunità e non solo, ma senza rancore nei confronti dei carnefici: “Chi sterminò i miei non li ho mai odiati: basta intolleranza”. C’è una sua frase riferita a Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno, che mi porto dentro: “Abbiamo un ministro che non riconosce la Liberazione. Queste persone qui non hanno perso la memoria, la memoria vogliono farla perdere a te”. Ferruccio Laffi è stato premonitore, è ciò che sta accadendo con il Governo Meloni con una premier che non riesce, che non vuole pronunciare la parola antifascismo, lei che insieme ai suoi ministri ha accettato l’incarico giurando sulla Costituzione di fronte al suo Garante il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservane lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”. Quella Carta rappresenta il simbolo dell’antifascismo, nata dalla lotta partigiana, dalla guerra di Liberazione. Negli approfondimenti televisivi si vedono personaggi che, a proposito di fascismo e antifascismo, hanno realmente perso la memoria con dichiarazioni come: “il fascismo fa parte del passato. Il fascismo non tornerà più. La Meloni e i suoi compari non sono fascisti. Quello che accade oggi sono fatti di folklore, ecc.”. A questi illustri professori e giornalisti, vorrei ricordare che essere fascista non significa riportare l’Italia nel ventennio, trovare il nuovo Duce, è, invece, uno stato d’animo, una mentalità, concepire una società intollerante, razzista, piena di odio e violenza. In questi ultimi anni sono tanti gli episodi contro la memoria, come le parole del presidente del Senato Ignazio La Russa che a proposito dell’attacco partigiano in via Rosella disse che i 33 tedeschi uccisi erano “una banda musicale formata da semi pensionati”. Erano, invece, componenti del terzo battaglione Polizeiregiment Bolzen con compiti di sorveglianza e repressione nei confronti dei partigiani nella Roma occupata. Le tante occasioni in cui i neo camerati si scherano in formazione paramilitare facendo il saluto romano come è accaduto recentemente ad Acca Larentia. A proposito di violenza e di memoria non vanno dimenticati: l’assalto dei neofascisti di Forza Nuova alla sede della CGIL del 9 ottobre 2021 e i cinquant’anni dalle stragi di Piazza della Loggia a Brescia (8 morti e 102 feriti) del 28 maggio 1974 e del treno Italicus (12 morti e 48 feriti) del 3 agosto 1974. Come diceva Ferruccio Laffi: “Se vogliamo vivere in Libertà non dobbiamo mai dimenticare”.


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