Sandrocchia, la donna, donna, donna

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Federico Fellini disegna e annota sul Libro dei Sogni questa visitazione notturna:

«La Sandrocchia con l’abito di volpi bianche che aveva nel personaggio di Susy, più rotonda, più cicciona, appoggia il pancione morbido contro il mio e io le tocco con gran piacere le favolose elastiche chiappone. Cerchiamo un luogo tranquillo per fare bene l’amore. Non lo troviamo. Che rabbia! Comunque io prima debbo liberarmi di una piccola scimmietta bianco e nera che mi morde la mano sinistra. Non mi ha ferito e non mi ha nemmeno fatto male, ma ha lasciato l’impronta dei suoi dentini aguzzi».

Si ipotizza che la scimmietta nella simbologia onirica, possa indicare un’energia repressa che sta risalendo in superficie, un lato della personalità a cui abbiamo impedito di fluire: la sua presenza nel sogno può persino alludere a un istinto genitoriale, di procreazione, che si affaccia dal profondo della nostra natura. L’animaletto fa sentire a Federico i suoi dentini aguzzi ma “senza fare male”.

Sandra è l’amante dei teatrini erotici di Otto e mezzo, ma è anche la donna grembo, accogliente, vorace, la femmina che ci permette di riprodurci.

Il sogno della scimmietta è annotato da Fellini, insieme a un dettagliato e coloratissimo disegno illustrativo, il 26 agosto 65. Siamo dunque al tempo di Giulietta degli Spiriti, il film forse più intimo e coraggioso, nel quale l’autore non si è sottratto all’impresa di mettere in scena tutti i suoi fantasmi domati e ammansiti in un sabba domestico.

Una volta che gli domandai a bruciapelo quale fosse il suo film preferito, Federico rispose senza alcuna esitazione: “Giulietta degli Spiriti”.

Al centro della storia c’è Susy, la creatura della costola, Eva tentatrice, il peccato, la voluttà fatta persona, la trasgressione come regola di vita, la soubrette del circo che dondola avanti e indietro sul trapezio, il sogno di libertà, l’altrove, la fuga. Irrealizzabile.

Sandra Milo era entrata in scena con Otto e mezzo; attrice dalle forme prorompenti, considerata nel cinema una sex symbol, una ‘maggiorata’ adatta alle commedie di costume. Gli intellettuali della Settima Arte s’erano burlati di lei, protagonista di “Vanina Vanini” di Roberto Rossellini, ribattezzandola perfidamente “Canina Canini”. Bocciata in recitazione. Federico la trasformò in una icona abbagliante e indimenticabile, come è sempre successo alle modelle dei grandi maestri della pittura.

Fu lo scrittore e sceneggiatore Ennio Flaiano, dall’occhio lungo, a presentarla a Federico come possibile interprete della signora Carla, portandola con sé a Fregene durante la preparazione del film.

Sandra sostiene di essersi innamorata a prima vista di Fellini, all’istante; un innamoramento da tagliarle le gambe, da renderla balbettante, incapace di controllare l’emozione che le toglieva il fiato, con i palpiti del cuore impazziti, a rischio di svenire ogni volta tra le sue braccia. Il regista, a quanto pare, oppose qualche iniziale e assai fragile resistenza. Poi si lasciò volentieri travolgere dalle sapienti arti dell’attrice ed ebbe per lei un debole irrefrenabile.

Per almeno dieci anni Sandra aveva dominato nella sfera erotico sentimentale di Fellini. L’attrice precisa che gli anni sono diciassette, e senza dubbio ha ragione.

Federico che aveva voluto ‘Sandrocchia’ accanto a sé per interpretare Otto e mezzo, e subito dopo Giulietta degli Spiriti, l’avrebbe volentieri riconfermata anche in Amarcord, nella parte della Gradisca. Ma la terza occasione andò malauguratamente in fumo. Il marito di Sandra, Ottavio De Lollis (padre di Ciro e di Azzurra; Debora è figlia del produttore Moris Ergas), gelosissimo, secondo la versione dei testimoni oculari, si era presentato nell’ufficio di Federico a Cinecittà per intimargli senza mezzi termini: “Mia moglie non farà questo film”. E per essere più eloquente aveva appoggiato la pistola sulla scrivania.

Liliana Betti riferì in seguito, anche per scritto, l’intera vicenda: della quale qualcosa trapela. In “Diario Segreto di Amarcord”, Sandra invitata da Liliana ad esprimere un giudizio su l’interpretazione che Magali Noël aveva dato della Gradisca una versione personale: “Io avrei impostato il carattere meno triste e malinconico, più allegro” E continuava:

Senza nessuna gelosia, ma penso che l’avrei interpretato con un pizzico in più di allegria. E anche di innocenza, se vogliamo. Ecco, io l’avevo immaginata come una donna che è golosa di tutte le cose belle che ci sono nella vita, non so, una che vede il mondo come un grande gelato, o come un bicchiere di vino buono, o come giocare a mosca cieca, ecco, prendimi prendimi, come un gioco… E poi anche il piacere di portare bei vestiti, sentire la seta sul corpo, con tutti quelli che guardano, che ti desiderano, la voglia che c’è sotto… Una pavoncina? Anch’io quando ho fatto in Otto e Mezzo la signora Carla, l’amante… Federico quando mi parlava del personaggio diceva, «per me è una pavoncina, con la testa piccola e … va beh insomma, “quello” grande», e io l’ho fatta bene, no?”

Poi l’incantesimo si infranse per uno sgarbo di lei, che nel 1982 spiattellò in “Caro Federico”, un libro di memorie pprivatissime pubblicato da Rizzoli, tutti i particolari dei loro incontri, anche i più sgradevoli.

Il gossip di quei giorni asseriva che la pubblicazione del libro era stata una vendetta trasversale di Bettino Craxi contro la risaputa e sbandierata ostilità di Fellini; un tiro mancino orchestrato a freddo dal milieu del capo, il cerchio magico socialista dell’Hotel Raphael di cui Sandra era ormai entrata a far parte come musa riconosciuta. A quale prezzo?

Federico scorgeva in Craxi una pericolosa replica di Mussolini e non ne faceva mistero: “La nostra fortuna – diceva – è che sia milanese, e i milanesi non sono simpatici agli italiani; se fosse stato romagnolo saremmo già dentro una seconda dittatura”. Aggiungeva che la x del cognome contribuiva “col suo suono metallico estraneo, irritante, a renderlo sgradevole; simile a quell’effetto disarmonico per l’orecchio, come un gracidio o lo scatto insidioso di una molla; un inciampo fastidioso nella nostra lingua così musicale”.

Quando girai con la Milo l’intervista per il film I PROTAGONISTI DI FELLINI, mi recai a trovarla nel suo ufficio RAI di via Col di Lana. Conduceva una rubrica di costume per il programma Mixer di Giovanni Minoli, e aveva trasformato la sua stanza in un avvolgente boudoir: le pareti completamente tinte di rosa shocking e l’arredamento arricchito di mille ninnoli, fotografie, souvenir, ammennicoli personali. Lei così bionda, spumeggiante, labbra rosso fiamma, il sorriso goloso, la voce da bambina… Un autentico bonbon. Impiegò meno di un attimo a catturare nei miei occhi la similitudine che avevo formulato con la mente prima che con le parole, e ci anticipò maliziosamente divertita, ma con una punta di acredine, di rammarico:

«Una star nella sua bomboniera? E io il gran confetto? Qualcosa da mangiare, da consumare, da succhiare…?» La sua risata ed era di nuovo, immutabilmente lei: «Oh beh, Sandrocchia è sempre dentro di me, voglio dire non è che l’ho buttata via, no assolutamente, e se c’è è perché è piena di vitalità, di candore se vuoi, quello che poi ha fatto dire alla gente da tanti anni, o mi ha fatto definire come ‘la svampita’. Perché la mia è una figura difficile da classificare no? Cioè la donna o è amante, o è madre, o è sposa, oppure è tutto questo e qualcosa ancora… Che cos’è Sandrocchia? È molto di più; per Fellini era anche il sogno, in qualche modo anche la trasgressione, innocente, cattolica, quindi limitata, e per questo simpatica e anche da amare… Il mio personaggio era la donna, donna, donna, la sintesi della donna, la femminilità, la sensualità, l’ambiguità. Oh, io ero proprio tante creature di Federico, ero una sua immagine, un suo specchio.

Io l’ho amata Sandrocchia, non l’ho buttata via, tutt’altro, continuo ad amarla; è come la bambina che è in me, e che rimane, persiste…».

Sandra sapeva, con certezza femminile, che quel riflesso avrebbe accompagnato per sempre Fellini. E non si sbagliava.


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