Non si può morire nelle mani dello Stato

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Non sappiamo ancora cosa sia accaduto nel carcere di Oristano, dove il 12 ottobre 2022 è stato trovato morto Stefano Dal Corso, detenuto romano di quarantadue anni che, secondo la versione ufficiale fornita dalla procura, si sarebbe tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo alla grata della finestra della cella. La famiglia, al contrario, sostiene che sia stato assassinato e ci sarebbe un testimone che affermerebbe di aver assistito a un pestaggio furioso nei suoi confronti: gli avrebbero spezzato l’osso del collo con una spranga e due colpi di manganello. L’ipotesi che si fa largo è che abbia visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere: secondo il testimone, avrebbe assistito a un rapporto sessuale in infermeria fra due operatori del penitenziario.
Siamo ancora nel campo delle supposizioni, pertanto non formuliamo giudizi e non prendiamo alcuna posizione. Attendiamo le prove, anche se in effetti, come è emerso dall’intervista rilasciata dalla sorella Marisa a “Il cavallo e la torre”, c’è qualche incongruenza nella versione ufficiale e andranno compiuti i doverosi accertamenti, a cominciare dall’autopsia sul cadavere di quest’uomo.
Qualora dovesse essere confermata la tesi della famiglia, sarà bene chiarire ogni dettaglio e far luce su ogni possibile misfatto, perché uno Stato degno di questo nome non può permettersi zone franche.
Ribadiamo: noi non puntiamo il dito e non accusiamo nessuno, tanto meno in assenza di prove e di certezze. Ci batteremo, tuttavia, affinché emerga la verità e sia resa, eventualmente, giustizia alla famiglia di Stefano, come siamo stati al fianco delle parti offese nella caserma di Bolzaneto e di altre famiglie sconvolte dal dolore per vicende simili: da Aldrovandi a Cucchi, senza tralasciare nessuno.
Se si sarà trattato davvero di suicidio, bisognerà capire le ragioni che hanno indotto una persona che di lì a poco sarebbe stata scarcerata a compiere un atto così estremo.
Se fosse stato, invece, assassinato per i motivi che la sorella adombra, saremo al suo fianco affinché non si senta sola nemmeno per un istante. Per noi, infatti, non c’è differenza fra Giulio Regeni e un detenuto comune. I diritti umani o valgono per chiunque o non esistono. E per noi costituiscono una ragione di vita, non meno della salvaguardia della libertà d’espressione e d’informazione.
Concludiamo con una riflessione, legata al carcere e alle sue troppe storture. Pensiamo, difatti, che questo strumento, che il più delle volte, oltre alla libertà, toglie ai poveri cristi che vi finiscono pure la dignità, vada notevolmente ridotto. Non ci aspettiamo nulla da questo governo, ma da chi in questo momento è all’opposizione, invece, pretendiamo un modello di società alternativo, in cui il recupero venga prima della repressione e l’umanità sia sempre al primo posto, qualunque sia il reato commesso. Nel nostro piccolo, ci impegniamo da sempre a costruirlo e portarlo avanti ma almeno noi siamo coscienti del fatto che da soli non bastiamo.

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